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Sito Letterario & Laboratorio di Scrittura Creativa di Monia Di Biagio.

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Gabriele D’Annunzio: Vita&Opere
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Monia Di Biagio

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MessaggioInviato: Gio Set 06, 2007 6:29 pm    Oggetto:  D’ANNUNZIO E IL VOLO
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D’ANNUNZIO E IL VOLO

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"... subitamente vidi
ignuda l'ombra di Icaro apparire.
Quasi color marino aveva assunto
le sue membra, ma gli occhi erano solari"


Il Novecento che ci siamo da poco lasciati alle spalle è stato definito il "secolo breve", segnato da due sanguinose guerre mondiali che hanno lasciato in Europa ferite profonde.

Eppure il Novecento si era inaugurato con generose speranze in un progresso che sembrava senza limiti. La cosiddetta "belle époque" vede infatti realizzati, grazie all’incessante susseguirsi di innovazioni meccaniche e tecniche, i sogni di cui si era nutrita la mitologia degli antichi. Mutando radicalmente il senso del tempo e dello spazio, le categorie attraverso le quali percepiamo il mondo, queste realizzazioni hanno mutato la vita del Pianeta.

Nel 1903 i fratelli Wright riescono a sollevare dal suolo un mezzo più pesante dell’aria: l’impresa icaria avrà incalcolabili conseguenze.

Il Centenario, nel 2003, della conquista del cielo (seguito fino al 2009 da una serie di date storiche per l’aeronautica italiana internazionale) conta in Italia protagonisti decisivi e va commemorato con una serie di iniziative dalle quali possa emergere il ruolo svolto dal nostro Paese nel pionierismo aviatorio, non solo con le memorabili trasvolate degli anni Venti e Trenta, ma anche sul piano della diffusione di massa del volo grazie ai poeti e agli artisti che l’hanno cantato e illustrato.

(Anna Maria Andreoli, Presidente Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani", Gardone Riviera)

****************

I VOLI DI D’ANNUNZIO DURANTE LA GRANDE GUERRA

Chiudendo nel 1903 Alcyone, il suo capolavoro poetico, d’Annunzio dedica numerosi versi a Icaro e al volo. La conquista dei cieli, che già i dirigibili solcano a grandi altezze e che i fratelli Wright si apprestano a raggiungere con la potenza del motore, sembra provocare nel poeta la rivisitazione del mito icario. Tempestivo, puntualmente in testa ai grandi eventi, canta l’imminente realizzazione del sogno che fu di Leonardo. Il Rinascimento sta dunque per compiersi con la vittoria dell'uomo sulla forza di gravità:

L’ombra d’Icaro ancor pe’ caldi seni/ del mar mediterraneo si spazia./ […] Quasi il color marino aveano assunto/ le sue membra, ma gli occhi eran solari… E ancora: un’ala sul mare è solitaria. / Ondeggia come pallido rottame. / E le sue penne, senza più legame, / sparse tremano ad ogni soffio d’aria./ […] E’ l’ala icaria, […] Chi la raccoglierà? Chi con più forte / lega saprà rigiugnere le penne / sparse per ritentare il folle volo?

Quando nell’aprile 1909 Wilburg Wright è a Roma, nel campo di Centocelle insieme con Mario Calderara, il primo pilota italiano, costruttore in proprio di un apparecchio, d’Annunzio accorre per assistere di persona alle prove di volo. Ha infatti avviato un romanzo, Forse che sì, forse che no, al cui centro è il tema aviatorio. Al febbraio di quell’anno risale appunto il Manifesto del Futurismo che Marinetti pubblica nel parigino "Figaro":

"Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. […] Noi canteremo […] il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta"…

Alcuni mesi dopo, in settembre, d’Annunzio vola per la prima volta, nel Circuito aereo di Montichiari nei pressi di Brescia. E’ in palio un premio internazionale che vede diversi prototipi di aerei confrontarsi in velocità, altezza, pilotaggio. Alla presenza del re e della regina, e di numerose personalità accorse da ogni parte d’Europa, tra una folla di 50.000 spettatori, il poeta decolla con l’americano Curtiss e l’italiano Calderara. Ha anche modo di intrattenersi a lungo con Blériot e altri assi del volo e rilascia un’intervista che Luigi Barzini pubblica nel "Corriere della Sera" l’11 settembre: "E’ una cosa divina. Non penso che a volare ancora". Franz Kafka, accorso alla manifestazione, ne scrive a lungo.

Negli ultimi mesi del 1909 il narratore licenzia Forse che sì, forse che no che avrà per sottotitolo romanzo dell’ala. Il racconto accoglie anche la recente esperienza di Montichiari, narrata nei dettagli ma al tempo stesso trasfigurata in una visione mitica dell’evento. Ormai le sue competenze aviatorie sono tali che d’Annunzio concorda con un impresario una serie di conferenze, itineranti in diverse città italiane, sul Dominio dei cieli. Nel febbraio 1910 è a Torino, Milano, Genova, Bologna, Mantova, Verona, Venezia, Bergamo. Sosta a lungo nelle officine torinesi di Aristide Faccioli, a Venarìa Reale, e nell’itinerario verso Vicenza visita il Campo di Bovolenta, dove ispeziona meticolosamente i biplani "Voisin". Durante il tour oratorio conia il termine "velivolo" e il testo della conferenza viene pubblicato anche sui giornali francesi, inglesi e tedeschi:

Tutti sanno che la prima teoria del volo artificiale fu fondata sul veleggio dei volatori di grande specie, su quel volo veleggiato che i francesi chiamano "vol à voile". Il precursore Otto Lilienthal, i due fratelli Wright, Octave Chanute, il povero capitano Ferber incominciarono con l’imitare il veleggio delle aquile e degli avvoltoi per mezzo di congegni veramente dedàlei, privi di forza motrice.
Ora v’è un vocabolo di aurea latinità – velivolus, velivolo – consacrato da Ovidio, da Vergilio, registrato anche nel nostro dizionario; il quale ne spiega così la significazione: "che va e par volare con le vele".
La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fònica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti. Pur essendo classica, esprime con mirabile proprietà l’essenza e il movimento del congegno novissimo.

Sebbene dal marzo 1910 sia esule in Francia, dove ripara perché creditori e usurai l’hanno cinto d’assedio, d’Annunzio partecipa alle vicende italiane e dalle colonne del "Corriere della Sera" fa udire la sua voce di poeta. In occasione della guerra di Libia, fra il 1911 e il 1912, il "velivolo" ha il battesimo del fuoco:

Passano l’ali/ ripiegate dell’uomo, i grandi ordegni/ di Dedalo, le macchine campali/ fatte di tesa canape e di legni/ lievi, che porteran l’uomo e l’atroce/ sua folgore su i fragili sostegni (La Canzone dei Trofei).

La guerra mondiale, la "sola igiene del mondo", gli spalancherà tra poco, di colpo, un nuovo avvenire: è giunto per d’Annunzio il tempo dell’azione che realizza un sogno a lungo accarezzato. "Beati quelli che più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere" scandisce in un memorabile discorso, pronunciato a Quarto, presso lo scoglio dei Mille, il giorno stesso (5 maggio 1915) in cui è rientrato in Patria per sollecitare l’intervento italiano a fianco dell’Intesa. La campagna del maggio, che si dirà "radioso", lo impegna fino alla dichiarazione delle ostilità, quando l’instancabile oratore, ormai più che cinquantenne, è invaso dalla "gioia del guerriero" ammette "che non assomiglia ad alcun’altra e che poteva rimanermi ignota se la sorte non mi avesse gettato nella guerra, dopo tanti anni di tristezza, alla fine del mio vigore". La catastrofe gli appare davvero provvidenziale e restitutiva: la terra "che si sazia di carne, poi la rende in spirito".

Comprensibili, pertanto, indignazione e risentimento allorché gli si farà sapere che il volontario d’eccezione non dovrà arrischiare la vita in combattimento. Sostenga la guerra con la sua parola che non ha l’eguale nell’infiammare gli animi; "canti", dunque, al riparo dai pericoli. "Dopo la cantata" ribatte sprezzante il poeta desideroso di gettarsi nella mischia "tenderò il cappello, come i canterini girovaghi, e pioveranno le palanche". Rivolgendosi a Salandra minaccia addirittura di uccidersi se gli verrà negata la prima linea: "Io non sono un letterato in papalina e pantofole. Voi volete salvare la mia vita preziosa, voi mi stimate oggetto da museo, da custodire nella stoppa e nella tela da sacchi. Ebbene, ecco, io getto la mia vita solo pel piacere di contraddirvi e di gettarla" (30 luglio 1915).

Avrà la meglio sul divieto e progetterà subito il suo primo volo di guerra: il 7 agosto, in qualità di osservatore, su un "Farman" pilotato da Giuseppe Miraglia, contempla Trieste dall’alto lasciando cadere sulla città un messaggio accorato: "Coraggio fratelli! Coraggio e costanza! Per liberarvi più presto, combattiamo senza respiro".
In agosto volerà poi su Grado e Caorle, quindi in settembre su Trento e Asiago, ormai con il nuovo grado di "ufficiale osservatore dell’aeroplano", come reca la nomina firmata da Cadorna:

Il Tenente Gabriele d’Annunzio ha, durante la sua permanenza a Venezia, compiuto vari voli, sul nemico, in aeroplano in qualità di osservatore, come risulta dall’accluso rapporto del Capo Squadriglia aviazione di marina.
In analogia a quanto viene praticato per altri in simili condizioni, si propone che la medesimo venga conferita la nomina di "ufficiale osservatore dell’aeroplano".

Un ardito volo su Zara, progettato per dicembre, non avrà luogo poiché Miraglia muore durante un collaudo. E dire che d’Annunzio l’aveva progettato nei dettagli, ma di questo volo non resta che il messaggio approntato per il consueto lancio sulla città.

Il 16 gennaio 1916 ("Mattina. Il cielo tutto roseo a oriente. I gabbiani. Il canale palpitante" annota nel taccuino di quel giorno), ammarando bruscamente nelle acque di Grado, con un idrovolante pilotato da Luigi Bologna sul quale ha compiuto un volo di ricognizione, resta ferito battendo la tempia destra e il sopracciglio contro la mitragliatrice di prua. Al di là della contusione, l’incidente sulle prime non sembra comportare gravi conseguenze; anzi, discorrendone a un mese di distanza, d’Annunzio definisce "divino" quell’ammaraggio nell’abbagliante luce invernale.

Il 17 gennaio vola per la seconda volta su Trieste con il lancio di un nuovo messaggio: "Trieste, ti portiamo nel tuo cielo il grande augurio d’Italia per l’anno che incomincia, per l’anno di liberazione che sarà l’anno primo della tua vita nuova".

Il 18 gennaio d’Annunzio raggiunge Milano per leggere alla Scala i versi patriottici che ha composto contraggenio. Rientra poi in automobile a Venezia il 20 per commemorare il trigesimo della morte di Miraglia. E’ febbricitante da alcuni giorni ma nulla lascia intravedere le gravi conseguenze del trauma, tanto più che le molteplici attività non cessano, specie quando si tratta di sostenere la guerra aerea che egli va propagandando in ogni modo. Per l’ "Illustrazione italiana", periodico milanese di Treves, il suo editore, predispone qualche "pagina aviatoria" con illustrazioni fotografiche d’eccezione, che invia da Venezia il 23 insieme con la didascalia: "preparativi per un’incursione aerea su Gorizia e sull’altipiano della Baisinzza".

Ancora alla metà di febbraio è alle prese con l’ "aviazione languente" come lamenta. Solo alla fine del mese l’occhio destro risulta compromesso, mentre sul sinistro grava la minaccia che lo costringe, bendato, a una lunga immobilità. Nascono così le pagine del Notturno, il "comentario delle tenebre" composto, a causa della cecità forzata, su liste di carta strette tra le dita per mantenere la dirittura.

Anche se menomato, d’Annunzio non rinuncerà a combattere: "i cavalli dell’azione e della poesia" dice, ancora convalescente, nel giugno 1916, "ricominciano a galoppare nelle mie vene". Decorato della prima medaglia d’argento, riprende a volare. Con l’incursione su Parenzo, il 13 settembre, ha constatato che l’alta quota non compromette l’occhio superstite e il volo su Vienna comincia a diventare un obiettivo perseguito senza risparmio di iniziative e di energie, nonostante che, per prudenza, combatta ora in fanteria, assegnato come ufficiale di collegamento alla 45° divisione.

Ma il fante valoroso appunta sempre verso l’alto l’occhio superstite. E non sorprende che spetti al pioniere del volo il sostegno della "quinta arma": la nascente aviazione è la "precorritrice della vittoria", come scrive nel rapporto indirizzato a Cadorna l’11 maggio 1917: Dell’uso delle squadriglie da bombardamento nelle prossime operazioni. L’intento è quello di persuadere il "generalissimo" che l’offensiva area sarà la più efficace e insieme la meno costosa. Esiste ormai in Italia la "milizia celeste" più forte del mondo:

La nostra aviazione ha ormai sorpassato il suo periodo di inquietudini, di esitazioni, di errori, di sperperi, di patimenti, di sacrifizii, non colpevole né deplorevole perché necessario. Anche questa volta, come sempre, i credenti hanno il loro premio in terra. Per la loro fede, ogni eroe caduto parve aggiungere un tendine all’ala rinata dal rottame fumante. Ora io dico – secondo lo spirito e secondo la materia – che quest’ala è la più robusta del mondo.

Il nostro primato nella costruzione dei grandi apparecchi è oggi inoppugnabile. Nessuno degli Stati alleati o avversi è riuscito a costruirne e a usarne di così potenti e ingenti. […] Se un improvviso stratega dell’aria riuscisse a muovere le squadriglie e i gruppi verso la massima efficacia dell’azione noi confermeremmo non soltanto il nostro predominio sul nemico ma la nostra superiorità su ogni altra ala di guerra.

Nel rapporto sono le premesse dell’imminente volo su Pola. Durante l’estate d’Annunzio si stabilisce infatti a Palmanova, presso il campo aviatorio di Santa Maria la Longa. Tiene discorsi per tener alto il morale dell’esercito e si sposta quindi a Pordenone, nel campo di Aviano ("il più bello del mondo") e in quello della Comina, per preparare il raid con una squadra aerea di cui ha attentamente predisposto la formazione.

Le note dei suoi diari tradiscono l’esaltazione del momento, comunicata ad Albertini il 2 agosto: "Non ho provato mai davanti all’opera d’arte quel che provo nell’accingermi a questa azione lontana". La notte successiva vola con trentasei apparecchi Caproni su Pola, per bombardare le postazioni militari. Ripete il raid il 4 agosto, ma dovrà attendere la notte fra l’8 e il 9 perché le condizioni atmosferiche siano ottimali. E’ avviandosi a questa impresa che sostituisce il grido d’incitazione Ip Ip Ip. Urrah! con il calssicheggiante Eia Eia Eia. Alalà! (attestato in Pindaro come in Eschilo), già comparso in Fedra e nella Nave.

Il raid di Pola gli vale la promozione a maggiore, grado col quale partecipa all’offensiva aerea su Chiapovano, sulla Bainsizza e sul rovescio dell’Hermada, dal 21 al 23 agosto, quando appoggia dall’alto le truppe che avanzano verso Gorizia. Leggermente ferito a un polso, viene proposto per la quinta medaglia d’argento, commutata nella croce di cavaliere dell’Ordine militare dei Savoia. L’impresa viene definita da d’Annunzio "un inferno di fuoco".

Il settembre trascorre nei preparativi in vista dell’ardua incursione su Cattaro, che richiede uno spostamento della base operativa in Puglia, nel campo di Gioia del Colle, poiché si tratta di compiere una doppia traversata dell’Adriatico inferiore. D’Annunzio è ora alle prese con voli sperimentali, per collaudare l’autonomia degli apparecchi anche in vista del volo su Vienna, che, già da tempo prefigurato, trova continui divieti. Chiede l’appoggio del colonnello Ernesto La Polla, capo dell’Aviazione da bombardamento, e incontra Cadorna, dal quale ottiene sì il consenso ma solo a patto che lo Stato Maggiore consideri il raid tecnicamente possibile. E’ richiesta una prova di volo di nove ore sul territorio italiano, dal campo della Comina a Torino, con rientro senza sosta. La prova verrà effettuata con esito felice, non senza però che la protesta di d’Annunzio abbia prima raggiunto il "generalissimo" il 1° settembre 1917:

L’apparecchio fu già largamente collaudato e provato. Dopo nove ore di volo consecutivo, non v’è nessun motore che non sia stanco o guasto; e non v’è pilota che non sia esaurito. E non abbiamo il tempo e il modo né di riposarci né di cambiare i motori. Ogni indugio compromette la riuscita.
Stasera è il plenilunio. Per rientrare sicuramente prima dell’alba è necessario che noi partiamo alle nove di sera, non più tardi, e non oltre il 3 settembre.

Supplico l’Eccellenza Vostra di togliermi da quest’ansia logorante.
Nelle nostre condizioni l’esperimento delle nove ore di volo sul territorio nazionale sopprime ogni possibilità di compiere il volo sul territorio nemico in questa lunazione. Non si tratta di un giudizio temerario ma di una realtà tecnica nota al più semplice dei piloti e dei motoristi.

A nulla varranno insistenze e proteste. Il testo del volantino, per il lancio deterrente, è approntato ("L’ala d’ITALIA sopra la capitale dell’Impero nemico afferma il suo predominio nell’aria omai incontrastato e dimostra la sua nuova potenza omai insuperabile"…), ma il permesso non viene accordato. D’Annunzio sfoga il proprio sdegno confidandosi con Albertini il 13 settembre 1917:

"il mio desiderio di andare a Vienna fu deluso: e il modo ancor m’offende. / Se il divieto fosse stato consigliato da ragioni giuste, che io non dovevo e non debbo discutere, esso era da porre fin dal principio per risparmiare a me e ai miei compagni una passione e un lavoro inutile di dieci giorni. […] Non ti so dire il mio stupore, il mio dolore e il mio furore".

Lascia quindi Venezia per recarsi a Milano dove, con il figlio Veniero, che è ingegnere e aviatore, e Gianni Caproni, metterà a punto i velivoli con i quali bombarderà le bocche di Cattaro. Dopo aver sorvolato il lago di Garda ("Il lago ha qualcosa di pudico. S’avvolge in un velo argentino […] A Desenzano l’acqua è di zaffiro schietto. La penisola di Sirmione è come una calza di seta bruna ove una donna passa un braccio per rovesciarla mettendo la mano nel pedule; e la pelle rosea traspare attraverso il tessuto fine […] Tutto è azzurro, come un’ebrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo") raggiunge il campo di Gioia del Colle.

"Per Frate Vento che non ci avverserà. Per Frate Focu che non ci arderà. Per Suor Acqua che non ci annegherà": la litania francescana, in cui versetto dopo versetto risuona un coro di Alalà!, saluta infine la partenza di quattordici Caproni per le Bocche di Cattaro la notte fra il 4 e il 5 ottobre. Benché sia stata differita a causa della solita disorganizzazione (mancano le bombe) che lo stratega contrariato denuncia con interminabili lettere al Comando, l’azione eroica gli conferma la straordinaria forza dell’occhio superstite, infallibile nel colpire il bersaglio, e una tale "pienezza di vita" che egli crede di "traboccare". Si sporge dall’alto per ammirare l’Adriatico "sottomesso all’incanto della luna": "L’anima si agguaglia agli elementi" scrive nel taccuino di quel volo "diventa notturna e stellata. E’ sospesa tra cielo ed acqua. […] Il core è attraversato da una corrente melodiosa, come nel principio della creazione di un poema. Non sto per creare la mia avventura?".

Nel momento più difficile del conflitto, nei giorni di Caporetto, si conferma il ruolo decisivo svolto da d’Annunzio e dall’aviazione. Alla logorante immobilità delle trincee, dove il baluardo difensivo è il muro dei cadaveri che si accumulano nel fango, fa riscontro una guerra non terrestre ma celeste, rapida e creativa. Come nei miti antichi o nelle giostre dei cavalieri medievali, il cielo è il campo di libere prove ardimentose. L’ideatore di questa guerra nella guerra non poteva essere che un poeta-soldato e pertanto non sorprende che, a dispetto delle difficoltà che deve quotidianamente superare, nel marzo 1918 d’Annunzio assuma il comando della Squadra aerea di San Marco, il cui motto così illustra:

La squadra aerea di San Marco che ho l’onore di comandare ha preso per divisa l’immagine dell’Evangelista […] Io ho aggiunto alla figura un breve motto in quel dialetto veneziano di cui risuona tutta la 'quarta riva' del mare dogale, che i naviganti di Monte Gargano e quelli di Otranto chiamano ancora il golfo di Venezia nei loro racconto: "ti con nu, nu con ti". Tu con noi, noi con te! E’ il vecchio grido e il vecchio giuramento che ripetevano i cittadini di Perasto. Tu con noi, noi con te! È il grido fedele.

Fra il maggio e il luglio 1918 i suoi equipaggi partecipano sia alle azioni di attacco che alle ricognizioni. La Squadra, composta da uno stormo di bombardieri SIA 9 B, uno stormo di SVA e una squadriglia di siluranti, diviene protagonista dell’offensiva finale contro le truppe austriache che hanno oltrepassato il Piave. D’Annunzio commemora la morte di Francesco Baracca (19 giugno) con un discorso nel campo d’aviazione di Quinto di Treviso, ma l’azione lo attrae assai più dell’oratoria.

Si sono finalmente realizzate le condizioni che gli consentiranno il raid su Vienna. Gli SVA di cui d’Annunzio dispone comprendono un nuovissimo biposto che, alleggerito di una mitragliatrice e opportunamente adattato, può ospitarlo alla testa di uno stormo di undici apparecchi che punteranno su Vienna con disposizione a V rovesciato.

Dopo aver bombardato di nuovo Pola, il 2 agosto vola su Vienna, ma il maltempo lo costringe a desistere. Un ulteriore tentativo viene compiuto l’8 agosto ma solo il 9 d’Annunzio raggiunge la capitale nemica. Lo SVA 10 su cui è a bordo è pilotato da Natale Palli. Poiché gli è stato ordinato di non proseguire se nella rotta lo stormo si riduca a meno di cinque, convoca Natale Palli, Antonio Locatelli, Gino Allegri, Aldo Finzi e Piero Massoni per un solenne giuramento:

"Se non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non tornerete indietro. Questo è il mio comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l’inferno. Alalà!"

Partono all’alba dal campo di San Pelagio e percorrono più di mille chilometri alzandosi alla quota di 3.000 metri (tre aerei devono atterrare poco dopo la partenza per guasti meccanici, uno è costretto ad atterrare in campo nemico). Lo scopo della spedizione è deterrente: il lancio di 40.000 volantini con un testo redatto da d’Annunzio e di altri 350.000 con testo (tradotto) di Ugo Ojetti. Si invitano i Viennesi alla resa:

Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo.
Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi.

Viva l’Italia!

**************

Nel cielo di Vienna: 9 agosto 1918.

Il volo su Vienna ha una risonanza mondiale e persino il nemico gli rende onore: c’è in Austria un eroe così coraggioso? Nell’ "Illustrazione Italiana", che dedica un intero numero all’impresa, pubblicizzandola con immagini, si commenta l’avvenimento salutando già la vittoria della guerra.

D’Annunzio progetta subito nuovi raid per raggiungere Budapest o Berlino e perciò Albertini gli chiederà invano per il "Corriere" la narrazione dell’impresa che è stata fotografata e filmata:

Certo, io debbo raccontare i miei giorni. Ma li racconterò in una maniera intima, con la mia visione particolare. Ne farò un libretto […]. Ho disegnato un nuovo volo su Budapest. Per la propaganda sarebbe efficacissimo. Ma incontro resistenze. Noi, quando siamo riusciti a fare una cosa, ci riposiamo per un paio d’anni. Pensa all’efficacia immediata d’un nuovo colpo. Si tratta di un centinaio di chilometri in più. (19 agosto)

Un gruppo di fuorusciti istriani offre a d’Annunzio un velivolo intitolato alla memoria di Nazario Sauro. E’ prevista al riguardo una solenne cerimonia a Roma, in Campidoglio. L’accettazione del dono si accompagna però al rifiuto di recarsi nella Capitale:

"Molti argomenti, e gravi, militano in favore della mia rinunzia. Ma il primo di tutti è il mio dovere di non tralasciare il mio servizio. Andando a Vienna, ahimè, ho traversato le linee e son passato sopra le terre invase, col cuore in travaglio".

Con Natale Palli d’Annunzio è poi a Parigi, il 26 settembre, per incitare i soldati italiani che combattono agli ordini del generale Albricci. Ma la guerra, che ancora uccide i suoi compagni più cari (il 5 ottobre muore in un incidente aereo il pilota Gino Allegri) si avvia alla fine con la grande offensiva lanciata in ottobre dal generale Diaz, che si conclude con la battaglia di Vittorio Veneto. D’Annunzio conduce la sua squadriglia "fino a tre volte sul nemico" restando "miracolosamente incolume" dice "nella distruzione intera del mio apparecchio carico di bombe", e in quei giorni compone rapidamente La preghiera di Sernaglia che esce nel "Corriere della Sera" del 24 ottobre, anniversario di Caporetto, con il titolo Vittoria nostra, non sarai mutilata. Proprio il messaggio che viene lanciato su Trieste il 1° novembre: "Tieniti all’erta, Trieste. Tieni anche a mente una parola coraggiosa che fu detta ieri e vale per domani: Vittoria nostra non sarai mutilata". Viva in te, e per tutto l’Adriatico sino a Valona, viva la compiuta Italia!"

E’ già prefigurata l’avventura fiumana con la quale il poeta-soldato vorrà continuare a combattere. Per le ultime imprese viene promosso a tenente colonnello e decorato con la medaglia d’oro che il Duca d’Aosta gli appunterà sul petto proprio nel sagrato triestino di San Giusto il 10 aprile 1919, con la motivazione:

Volontario e mutilato di guerra, durante tre anni di aspra lotta, con fede animatrice, con instancabile opera, partecipando ad audacissime imprese in terra, sul mare, nel cielo, l’alto intelletto e la tenace volontà dei propositi, in armonia di pensiero e d’azione, interamente dedicò ai sacri ideali della Patria, nella pura dignità del dovere e del sacrificio – Zona di guerra, maggio 1915-novembre 1918.

IL PALADINO DELLA MODERNITA’

Protagonista delle grandi innovazioni del Novecento, interprete dei nuovi bisogni della società di massa, all’inizio del secolo Gabriele d’Annunzio esalta la profonda alleanza della macchina con l’uomo. Liberandoci dalla schiavitù della fatica, la macchina realizza i sogni che il mondo antico aveva espresso attraverso il mito: Icaro, Promèteo, Ermete, il Centauro…
Le conquiste che mutano la percezione del tempo e dello spazio, il nostro modo di sentire e di esprimere le emozioni, rappresentano per d’Annunzio l’aurora di un nuovo Rinascimento erede delle generose speranze degli Antichi.

Chi raccoglierà l’ala icaria? – Chi con più forte – lega saprà rigiugnere le penne – sparse per ritentare il folle volo?

Nel 1903, l’anno in cui i fratelli statunitensi Orville e Wlburg Wright, per la prima volta nella storia dell’umanità, riescono a sollevarsi dal suolo con un mezzo più pesante dell’aria, il poeta canta l’impresa di Icaro:

Subitamente vidi – ignuda l’ombra d’Icaro apparire. – Quasi il color marino aveano assunto – le sue membra, ma gli occhi eran solari.

IL PIONIERE DEL VOLO

D’Annunzio non si limita a cantare il mondo, ma il mondo intende cambiarlo. Anticipando Marinetti e i Futuristi, esalta le innovazioni della meccanica e della tecnica che subito sperimenta al volante dell’automobile. Come la rapidità è la vittoria sul triste peso dell’uomo, così il volo aereo ricongiunge la specie umana con il cielo, simbolo sacro e religioso delle eterne ragioni dello spirito.

Nel 1909 d’Annunzio è tra i primi, in Italia e nel mondo, a librarsi nell’alto per comunicare a tutti l’ emozione del decollo: "Il momento in cui si lascia la terra è di una dolcezza infinita…è una nuova ebbrezza, un nuovo bisogno". E dialoga non solo con i grandi assi del volo, dai Wright a Calderara, da Curtiss a Blériot, ma interroga anche le maestranze all’opera nella costruzione dell’aeroplano che battezza velivolo. Raccoglie così materia utile a una serie di conferenze, itineranti in diverse città italiane, sul Dominio dei cieli. La sua viva voce promuove e diffonde la straordinaria prospettiva che il volo dischiude per tutti.

IL CONIO DEL TERMINE "VELIVOLO"

Nel romanzo Forse che sì, forse che no, composto nel 1909, d’Annunzio inventa una nuova parola per designare le "macchine volanti" che cambieranno profondamente il nostro modo di vivere:

v’è un vocabolo di aurea latinità – velivolus, velivolo – consacrato da Ovidio, da Vergilio, registrato anche nel nostro dizionario il quale ne spiega così la significazione: "che va e par volare con le vele". La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fònica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti. Pur essendo classica, esprime con mirabile proprietà l’essenza e il movimento del congegno novissimo.

I GRANDI VOLI DI D’ANNUNZIO

Dopo aver promosso, nel maggio 1915, la campagna per l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, d’Annunzio si arruola come volontario. La nascente aviazione avrà nel poeta-soldato un infaticabile sostenitore e insieme uno stratega dei raid che condurranno alla vittoria. Alla logorante immobilità delle trincee, dove il baluardo difensivo è il muro dei cadaveri che si accumulano nel fango, fa riscontro una guerra non terrestre ma celeste, rapida e creativa. Come nei miti antichi o nelle giostre dei cavalieri medievali, il cielo è il campo di libere prove ardimentose. Nominato dal generale Luigi Cadorna "ufficiale osservatore dell’aeroplano", d’Annunzio progetta e realizza i voli su Pola (8-9 agosto 1917) e Càttaro (4-5 ottobre 1917). Sarà d’Annunzio, al comando della squadriglia "San Marco", a varcare le Alpi per annunciare la vittoria italiana nel cielo di Vienna il 9 agosto 1918.

IL VATE MONOCOLO

Il 16 gennaio 1916, per un brusco ammaraggio nelle acque di Grado, con un idrovolante pilotato da Luigi Bologna sul quale ha compiuto un volo di ricognizione, d’Annunzio resta ferito battendo la tempia destra e il sopracciglio contro la mitragliatrice di prua. L’occhio destro è compromesso, mentre sul sinistro grava la minaccia che lo costringe, bendato, a una lunga immobilità. Nascono così le pagine del Notturno, il "comentario delle tenebre" composto, a causa della cecità forzata, su liste di carta strette tra le dita per mantenere la dirittura. Benché irrimediabilmente monocolo d’Annunzio non rinuncerà a combattere: "i cavalli dell’azione e della poesia" dice, ancora convalescente, "ricominciano a galoppare nelle mie vene". Decorato della prima medaglia d’argento, riprende a volare nel settembre 1916.

EIA EIA EIA. ALALA’!

Prima di volare su Pola la notte dell’8 agosto 1917, d’Annunzio sostituisce il grido d’incitazione Ip Ip Ip. Urrah! con il calssicheggiante Eia Eia Eia. Alalà!, attestato in Pindaro come in Eschilo:

"Comandai: – Silenzio. – Non qui, ma laggiù, su Pola romana, consacreremo il grido della nuova forza d’Italia. Quando tutte le bombe siano state mandate a segno ciascun equipaggio – prima di virare per la rotta del ritorno – si leverà in piedi, compreso il pilota di destra, e lancerà il grido attraverso i fuochi di sbarramento. Chi si trovò una volta sopra Pola di notte, sa qual fosse l’inferno delle batterie e dei proiettili. Il comando fu eseguito con una divina fierezza. L’Alalà! fu inaugurato al vertice della più bella virtù giovanile. – Summa petit. Sulla rotta del ritorno ci pareva che tutte le stelle fossero da noi conquistate per l’Italia".

TI CON NU, NU CON TI

"La squadra aerea di San Marco che ho l’onore di comandare ha preso per divisa l’immagine dell’Evangelista… Io ho aggiunto alla figura un breve motto in quel dialetto veneziano di cui risuona tutta la ‘quarta riva’ del mare dogale, che i naviganti di Monte Gargano e quelli di Otranto chiamano ancora il golfo di Venezia nei loro racconti: "ti con nu, nu con ti". Tu con noi, noi con te! E’ il vecchio grido e il vecchio giuramento che ripetevano i cittadini di Perasto. Tu con noi, noi con te! È il grido fedele". (Gabriele d’Annunzio, 1918)

D’ANNUNZIO E LA NASCENTE AVIAZIONE

Nel 1923 l’Aviazione farà parte dell’esercito italiano come arma autonoma. Ma fin dal 1917 d’Annunzio l’aveva caldeggiata rivolgendosi al generale Luigi Cadorna:

"La nostra aviazione ha ormai sorpassato il suo periodo di inquietudini, di esitazioni, di errori, di sperperi, di patimenti, di sacrifizii, non colpevole né deplorevole perché necessario. Anche questa volta, come sempre, i credenti hanno il loro premio in terra. Per la loro fede, ogni eroe caduto parve aggiungere un tendine all’ala rinata dal rottame fumante. Ora io dico – secondo lo spirito e secondo la materia – che quest’ala è la più robusta del mondo. Il nostro primato nella costruzione dei grandi apparecchi è oggi inoppugnabile. Nessuno degli Stati alleati o avversi è riuscito a costruirne e a usarne di così potenti e ingenti. Se un improvviso stratega dell’aria riuscisse a muovere le squadriglie e i gruppi verso la massima efficacia dell’azione noi confermeremmo non soltanto il nostro predominio sul nemico ma la nostra superiorità su ogni altra ala di guerra".

D'ANNUNZIO E TRIESTE

Durante gli anni romani del suo apprendistato (1881-1890) d’Annunzio intreccia strette relazioni con numerosi irredentisti. Risale al 12 marzo 1882 una poesia scherzosa, dove si menziona Salomone Morpurgo, l’erudito triestino che sarà poi direttore dell’Archivio Storico per Trieste.

Anche Leone Fortis, esule da Trieste, giornalista di punta nella Capitale, entra nel novero delle frequentazioni del giovane d’Annunzio, che non mancherà di menzionare più volte il magistero del latinista Onorato Occioni, veneziano di nascita ma "tergestino" d’elezione, avendo vissuto dieci anni a Trieste come preside del primo liceo italiano della città e poi esule a Roma, professore e rettore della Sapienza.

E proprio nell’Ateneo romano d’Annunzio avrebbe incontrato Guglielmo Oberdan, come narra diffusamente. Siamo nel giugno 1882, durante le manifestazioni studentesche per la morte di Garibaldi:

"Proprio allora, avendo disertato l’odiosissimo servizio austriaco, si rifugiava in Sapienza a Roma il giovane fatale ch’era promesso all’esemplar martirio e alla feconda morte, per amor di Trieste fedele, per amor di quel mare amarissimo che appunto io celebrava in ogni strofe del mio Canto novo: Guglielmo Oberdan.

In prossimità della Pentecoste, la dimane della morte di un Eroe, nel vestibolo della Sapienza, avevo preso nelle mie le sue mani febbrili…"

Riferimenti diretti a Trieste si incontrano negli scritti giornalistici dedicati nel 1887 ai problemi della nostra Marina militare (L’Armata d’Italia) e più avanti nelle Odi navali (1882), specie nella poesia che commemora l’Ammiraglio Simone Pacoret di Saint-Bon, Trieste al suo Ammiraglio:

Tu, lungi, nel tuo lido sola, che ne l’angoscia/ guardi per mezzo al grigio vapore ove s’affloscia/ in cima d’ogni antenna la bandiera odiosa;/ tu che guardi, velata la faccia dolorosa,/ in silenzio, ed il pianto in fondo al cuor ti scroscia!…

Nel febbraio 1902 d’Annunzio invia al "Piccolo della Sera" l’ode A Vittore Hugo la cui clausola è rivolta a Trieste:

"Italia! Italia!"/ Una voce d’iroso dolore/ dall’adriatico mare…ripete oggi il grido…Calpesta dal barbaro atroce,/ o Madre che dormi, ti chiama/ una figlia che gronda di sangue.

L’ode, poi confluita in Elettra, il secondo libro delle Laudi, viene pubblicata il 26 febbraio sul giornale triestino subito però sequestrato dalle autorità asburgiche.

Nel maggio 1902 d’Annunzio è a Trieste con Eleonora Duse. Al Teatro Verdi si rappresentano la Gioconda, la Città morta e Francesca da Rimini. Il giorno 11, all’Hotel de la Ville, dove la celebre coppia è scesa, si svolge un grande banchetto in loro onore, promosso, fra gli altri, da Attilio Hortis, Riccardo Pitteri e Giulio Caprin. Il discorso pronunciato da d’Annunzio nell’occasione (il cui autografo viene donato la sera stessa a Francesco Salata) viene pubblicato dal "Piccolo", ma con l’omissione delle punte irredentiste. Ai giorni 15 e 16 maggio risale l’escursione in Istria, a bordo del piroscafo "Arsa", da Pirano a Parenzo.

Esiste un’immagine fotografica del piroscafo a Parenzo con la folla che sul molo acclama d’Annunzio. Il triestino Silvio Benco stila per l’ "Indipendente" un’estesa cronaca dell’evento: fervente dannunziano, dedicherà all’opera del vate interventi e recensioni su vari periodici di Trieste.

Nel gennaio 1903 d’Annunzio incontra a Milano Antonio Smareglia, musicista triestino di cui va in scena alla Scala (20 gennaio), per la direzione di Toscanini, l’opera Oceana, su libretto di Benco.

Negli ultimi mesi del 1903 d’Annunzio conclude Alcyone, il terzo libro delle Laudi, con i Sogni di terre lontane, fra i quali la Loggia è dedicato al soggiorno triestino del 1902:

Settembre, il tuo minor fratello Aprile/ fioriva le vestigia di San Marco/ a Caposistria, quando navigammo/ il patrio mare cui Trieste addenta/ co’ forti moli per tenace amore…

Nel numero del 31 luglio 1904 del "Regno" compare una lettera aperta di d’Annunzio a Enrico Corradini in risposta ai quesiti posti dalla Direzione della rivista sui rapporti tra Italia e Austria e sul futuro della politica adriatica italiana. All’inchiesta fanno pervenire le loro risposte, fra gli altri, anche Benco e il letterato giuliano Antonio Cippico, in rapporti con Bahr e Hofmannsthal e più tardi traduttore di Nietzsche.

Nell’ottobre 1907 d’Annunzio raggiunge Fiume passando per Trieste: il viaggio, di cui è ampia menzione nelle lettere all’amante Giuseppina Mancini, è finalizzato alla rappresentazione della Nave, tragedia "adriatica", nelle zone irredente.

Il 25 aprile 1908, subito dopo il trionfo romano, la Nave va in scena a Venezia. A un banchetto offerto a d’Annunzio il giorno dopo interviene in rappresentanza di Trieste Attilio Hortis. E al simposio offerto il 27 successivo dalla "Lega Navale" veneziana d’Annunzio pronuncia un fervido discorso irredentista alla presenza di Hortis e Pitteri.

Alla fine del febbraio 1910 d’Annunzio è in procinto di recarsi a Trieste. Il 1° marzo dovrebbe tenere al politeama Rossetti la conferenza sul volo: Per il dominio dei cieli che però viene vietata dalle autorità austriache. In una lettera a d’Annunzio Benco descrive l’ "effervescenza d’entusiasmo del pubblico triestino":

"Stamane, diffusasi nella città la voce che voi sareste arrivato, tosto tutti i giovani del nostro ginnasio, e molti cittadini, e alcune signore (taluna confessava di aver l’accappatoio mattutino sotto il mantello indossato in fretta) corsero alla stazione per vedervi e per acclamarvi".

Invece di d’Annunzio approda a Trieste la brigata dei futuristi con Filippo Tommaso Marinetti che pronuncia un discorso al politeama Rossetti: "Trieste! Tu es notre seule poudrière!" (è pubblicato in Guerra sola igiene del mondo). Sempre nel 1910, d’Annunzio promette a Efisio Giglio Tos la prefazione a un libro, che non sarà pubblicato, sulla Lotta per l’Università italiana di Trieste.

In occasione della guerra di Libia, nel gennaio 1912 d’Annunzio pubblica la Canzone dei Dardanelli con violente invettive antiaustriache (il poeta dice di torcere così "i due colli all’Aquila bicipite"). La censura del governo italiano impone il taglio dei vv. 63-81 che tuonano contro l’invasor che sconobbe ogni gentile / virtù, l’atroce lanzo che percosse / vecchi e donne col calcio del fucile e, in particolare, contro l’imperatore austriaco, l’angelicato impiccatore, l’Angelo della forca sempiterna, definito carnefice squarquoio. L’autore dichiara furibondo:

"Questa canzone della Patria delusa fu mutilata da mano poliziesca, per ordine del Cavalier Giovanni Giolitti, capo del Governo d’Italia, il dì 24 gennaio 1912"

e con inchiostro rosso, che mima il sangue, manoscriverà i versi censurati riuscendo a trasformare in affare lucroso il taglio poliziesco. Del resto, le Canzoni sono popolarissime, concepite dal poeta come nuove Odi navali fanno raggiungere al "Corriere della Sera", a cui sono destinate, tirature di un milione di copie.

Arruolatosi come volontario, nei primi mesi di guerra d’Annunzio caldeggia le azioni aviatorie. Insieme con Giuseppe Miraglia vola su Trieste il 7 agosto 1915 e lascia cadere dall’alto innumerevoli volantini con il messaggio:

"Coraggio, fratelli! Coraggio e costanza! Per liberarvi più presto combattiamo senza respiro"…

Il 22 novembre del 1915 il "Corriere della Sera" pubblica i Tre salmi per i nostri morti in cui Trieste è evocata: Or chi i condurrà nella città fedele? Chi mi menerà insino al mio bel colle di San Giusto?

Il 17 gennaio 1916, all’indomani dell’incidente che comporterà la perdita dell’occhio destro, d’Annunzio vola una seconda volta su Trieste su cui lancia nuovi volantini:

"Trieste, ti portiamo nel tuo cielo il grande augurio d’Italia per l’anno di liberazione che sarà l’anno primo della tua vita nuova"…

Alla fine del 1916 l’amante triestina Olga Levi Brünner dona a d’Annunzio una grande bandiera tricolore che verrà issata su San Giusto dopo la vittoria.

Nel 1917 inizia una fitta corrispondenza con l’artista triestino Guido Marussig: sarà l’autore delle decorazioni dei velivoli della "Serenissima", la squadriglia al comando di d’Annunzio. Più avanti, negli anni del Vittoriale, Marussig sarà chiamato a decorare la sontuosa residenza dannunziana, concepita come un grande sacrario della guerra vittoriosa.

I fuorusciti adriatici offrono a d’Annunzio un velivolo da bombardamento Caproni. La consegna avviene a San Niccolò del Lido, l’aeroporto presso Venezia che ospita la squadriglia dannunziana, il 15 settembre 1918. Esiste documentazione fotografica della cerimonia.

Nella "Gazzetta di Venezia" del 7 novembre 1918 viene pubblicato il testo del messaggio a Trieste che d’Annunzio ha scritto dopo la vittoria per il terzo volo sulla città. Cominciano a farsi strada i dubbi sulla "vittoria mutilata":

"Trieste, chi ti parlò nell’ansia e nel tumulto non può più parlarti nella felicità troppo subitanea, mentre più degli altri urlano e schiamazzano quelli che ti avevano rinunziata e rinnegata./ Oggi il suo amore è silenzioso./ E’ venuto a guardarti anche una volta dall’alto; e non s’attenta di scendere in te, tanto egli teme il tuo amore"…

Il 20 dicembre 1918 rende omaggio a Oberdan recandosi a Ronchi. In questa occasione incontra Leopoldo Brünner, padre dell’amante, e gli dedica una copia del Martyre de Saint Sébastien con dedica (è conservata presso la Biblioteca civica di Trieste). In queti giorni, come ricorda Benco, d’Annunzio rifiuta di unirsi alle manifestazioni pubbliche che a Trieste salutano la vittoria e la liberazione perché gli appaiono "un basso carnevale". In una lettera a Nella Doria Cambon, poetessa triestina, d’Annunzio scrive in occasione del Natale:

"Vengo spesso a Trieste in segreto, quando la città si accende. Sono un amante notturno. La respiro, libero e solo; e non mi sazio".

Il 10 aprile 1919, sul sagrato del duomo di San Giusto, d’Annunzio è insignito dal Duca d’Aosta della medaglia d’oro al valor militare. Pronuncia un discorso ai Triestini.

Nell’agosto 1919 il triestino Silvio Benco apprende del progetto dannunziano di un raid su Tokio:

"Ho letto che voi vi appassionate di un ardito volo da Roma a Tokio. Queste vigorose imprese giovano molto, giovano molto più che non si creda, al nome del popolo italiano nel mondo. Sono poesia compresa dalle immense moltitudini per le quali il senso della vita, ancora libero, non è cifrato dalla lettera. Io vi auguro di riuscire, poiché vi credo infaticabile".

E’ di d’Annunzio l’ideazione, nell’agosto 1919, della nuova bandiera del Lloyd Triestino con il motto Liberantem Testor e il disegno di Guido Marussig.

Durante i mesi dell’occupazione di Fiume (12 settembre 1919-Natale 1920) d’Annunzio si reca più volte a Trieste.

Nel giugno 1922, ormai di stanza a Gardone, d’Annunzio crea il motto della Società Ginnastica Triestina (un tempo diretta anche da Italo Svevo) – Stricto Gladio Tenacius – S G T:

"Per saluto e per augurio e per elogio, o Compagni…o Atleti e Asceti, mando questo motto inspirato dalle tre iniziali della vostra denominazione".

D’ANNUNZIO E MARUSSIG

Al fronte, nel 1916, d’Annunzio incontra il pittore triestino Guido Marussig. Dall’intesa fra il poeta-soldato e l’artista, testimoniata da una fitta corrispondenza, nascono le decorazioni dei velivoli della Squadriglia "San Marco" che dominerà il cielo di Vienna. Nel 1918 Marussig è lo scenografo della Nave, la tragedia dannunziana che si rappresenta alla Scala di Milano con la musica di Italo Montemezzi. "Primo edìle" durante l’occupazione di Fiume (1919-1920), realizza il gonfalone della "città di vita". Negli anni del Vittoriale (1921-1938), quando d’Annunzio intende allestire sulle rive del lago di Garda il suo grande Sacrario della guerra vittoriosa, Marussig è chiamato a decorare la cittadella monumentale. Giardini, vetrate, arredi, stemmi, vessilli, affreschi e altorilievi hanno nell’artista triestino un interprete d’eccezione.

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( Articolo Storico-Letterario tratto da:
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