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Sito Letterario & Laboratorio di Scrittura Creativa di Monia Di Biagio.

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Il Diario di Vilma
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ambrasiria








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MessaggioInviato: Lun Lug 07, 2008 4:12 pm    Oggetto:  Il Diario di Vilma
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Il Perfect day di Vilma

Il 5 aprile scorso vado a trovare un'amica e mi informa che sta scrivendo il suo "perfect day" in 900 battute. Mi dice che la Scuola Holden di Baricco ha bandito un concorso, il cui termine era il 7 aprile, quindi due giorni dopo, e per partecipare bisognava appunto mandare il proprio Perfect Day.

"Si vince una giornata alla scuola, con 8 scrittori!" dichiara entusiasta. Gli scrittori sono Baricco (ovviamente), Lucarelli, Ammaniti, Mazzucco, Veronesi, Scurati, Carofiglio e Starnone.

Si vede che leggo poco letteratura italiana, perchè gli unici tre conosciuti sono proprio i primi tre citati, di Baricco avevo letto solo "Seta", di Lucarelli assolutamente nulla e di Ammaniti "Io non ho paura" e solo perchè l'aveva letto mio figlio per la scuola e girava per la casa... Be', ci ho pensato un po', incerta, ed alla fine ho scritto il mio giorno perfetto. l'ho spedito il 7, con grandi titubanze.

L'esito era per il 15 aprile.

Man mano che la data si avvicinava, più cresceva in me l'ansia, perchè avrei davvero desiderato andarci ma più di ogni altra cosa mi premeva essere "scelta", che qualcosa di mio finalmente fosse unanimemente apprezzato (so benissimo che non è così!), ma insomma l'ho vissuta con ansia e quindi... be', sono stata al colmo della felicità quando nel pomeriggio ho ricevuto l'email che mi annunciava la mia selezione con altri 135 su oltre 500 partecipanti (tra l'altro la mia amica non è stata selezionata...)

Il Perfect Day era fissato per il 26 aprile e quindi ho avuto giusto una decina di giorni per documentarmi sugli altri scrittori, sceglierne 4 (io ho scelto la Mazzucco - unica donna - Veronesi, Scurati e Baricco), per leggere qualcosa di loro e per documentarmi anche sulle scelte letterarie di cui avrebbero parlato.
Un tour de force pazzesco!

Il 26 sono partita prestissimo da Bergamo ed alle 9 e pochi minuti sono arrivata a Torino, taxi al volo e puntualissima alle 9,20 ero già alla scuola Holden. Ogni scrittore teneva due "lezioni" durante il giorno e noi già sapevamo a che ora erano, ognuna durava circa un'ora e mezza.

Ma non mi dilungo oltre e vi allego la trascrizione degli appunti, non prima però di avervi allegato anche il mio giorno perfetto:

Un giorno è perfetto
quando l’ordinario
si veste di straordinario,
quando ripensi al viaggio
a Città del Messico,
al tuo primo amore,
o riascolti una canzone
della tua adolescenza
riuscendo a rivivere le stesse emozioni
senza rimpiangerle,
quando tua figlia riesce finalmente
a fare i compiti da sola,
quando ti senti triste
e ricevi un bigliettino pieno di cuoricini
dove, sempre tua figlia,
ti dice che ti vuole bene
più di ogni altra cosa al mondo,
quando incontri per strada
un’amica che non vedevi da anni
e non tira dritto facendo finta
di non averti visto
ma si ferma a chiacchierare con te,
quando piove da due giorni
e d’improvviso il cielo si apre perché
- senza alcun motivo -
tuo marito ti ha portato
un sacchettino con dei fichi
che tu adori…

Se sei in pace con te stessa,
ogni giorno
diventa perfetto.

**************

IL GIORNO PERFETTO - 9 aprile 2008 Torino

Ore 9,45 MELANIA MAZZUCCO

L’isola di Arturo – Elsa Morante

Perché ha scelto di parlare di Elsa Morante. Primo perché è donna e perché si tende a dimenticare le donne scrittrici, nonostante nel genere del romanzo abbiano scritto delle cose importanti che in alcuni casi hanno anche salvato la letteratura nei periodi difficili. Secondo perché è una scrittrice italiana: c’è stata una frattura generazionale tra gli scrittori italiani ed i lettori. Terzo perché Arturo rappresenta coloro che sono stati salvati dai libri.

Il libro è stato pubblicato nel 1957 (la copia che aveva con sé era l’edizione originale, piuttosto malandata anche, ma Mazzucco ha confessato che ama molto leggere libri che sono stati letti da altri ed appartenuti ad altri). Elsa Morante, durante un’intervista del 1952, ha parlato del progetto del libro, che risulta essere completamente diverso dalla stesura definitiva. Diceva di stare lavorando a due libri uniti, dal titolo “Due amori impossibili”. Nell’isola di Arturo, il protagonista – durante la sua prigionia in Africa – ricorda la sua infanzia nell’isola di Procida e l’amore impossibile che ha vissuto (prima versione, scomparsa in quella definitiva). In seguito il libro diventerà uno solo, perché il secondo rimarrà un racconto, pubblicato a parte.

Perché questo cambiamento?

Nell’estate del ’52 succede qualcosa di importante: lei compie 40 anni e si consuma un addio ad un amore ormai terminato. La Morante ha vissuto molto male il raggiungimento dei 40 anni, che considera la fine della giovinezza. L’amore terminato è quello con Luchino Visconti – chiamato anche il Duca. E il titolo “amori impossibili” si può riferire sia per Arturo che per se stessa. Dall’estate in poi, Morante si immergerà nella scrittura del romanzo. Il padre di Arturo erediterà alcuni aspetti della personalità di Visconti e avrà il soprannome di Conte (riferimento al Duca). Per quattro anni scriverà – a mano – su dei quaderni, tuttora conservati, ognuno dei quali porta la data di inizio. Il libro è un congedo dalla giovinezza e dall’infanzia nonché dall’amore, come se solo l’addio potesse dare inizio alla scrittura del libro. Arturo: il nome è lo stesso di Arthur Rimbaud, scrittore precoce che a 16 anni aveva già scritto tutto, a 18 anni era partito per l’Africa come commerciante di armi e forse di schiavi (vedi il sito
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), morì a 37 anni (numero che ritornerà).

Altro personaggio che sta dietro la figura di Arturo è Cherubino (personaggio delle Nozze di Figaro: giovinetto, effeminato – nell’opera tra l’altro il suo ruolo è cantato da un soprano – creato da Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Beaumarchais scrisse prima il Barbiere di Siviglia ed in seguito Le nozze di Figaro, ma solo in quest’ultima commedia introdusse Cherubino, che ad un certo punto viene spedito lontano dalle donne che corteggia e quindi viene mandato in guerra. Beaumarchais scrisse una terza commedia con gli stessi personaggi, dove si saprà che Cherubino morirà in guerra, ma fu un fiasco clamoroso.
Le nozze di Figaro furono messe in musica da Mozart, il quale morì a 37 anni, come Rimbaud (prima quindi dei 40 anni e quindi essi rappresenteranno la giovinezza eterna). Morante decide però di togliere la parte dove Arturo è in Africa e sente che la narrazione deve essere la voce giovanile del ragazzo.

All’inizio del libro, la Morante fa una precisazione: afferma che il paesaggio – nonostante i luoghi esistano veramente – è immaginario.
Dedica il libro a Remo N.: in un’intervista dice che Remo (non dimentichiamo che Remo è anche il gemello del ben più famoso Romolo) è un ragazzo andato in Africa e là morto (molti anni dopo invece affermerà che Remo era una persona immaginaria). Dedica il libro a Remo N., gemello immaginario di Arturo (Remo N. diventerà Remo Natales, anagramma di Elsa Morante), per cui il libro in fondo è dedicato a se stessa. C’è anche una poesia, scritta da lei (lei dice che le sue poesie rappresentano un’eco del suoi libri).

Quando Morante iniziò a scrivere il libro, la poesia era stata posta alla fine, solo in seguito fu spostata all’inizio, come se fosse una guida.
Trama: Arturo cresce libero e selvaggio senza madre (morta di parto), cresciuto da un balio in una casa lasciata al padre da Romeo l’Amalfitano, un vecchio cieco circondato da cani (un po’ come i narratori omerici) che odiava le donne e per questo aleggiava sulla casa la maledizione del vecchio, infatti la cagna Immacoletella morirà dopo aver partorito i cuccioli e la madre stessa di Arturo di parto, per cui nella casa dei Guaglioni (così si chiama) ci sono solo maschi. Nel libro Morante fa riferimento al Cappellaio Matto, che finisce in un mondo dove nulla è come appare, e lo stesso vale per Arturo. La scoperta dei segreti che aleggiano sui personaggi avverrà solo alla fine del libro. Arturo idolatra il padre, spesso assente; non sa cosa faccia esattamente, ma che vede partire col piroscafo: da qui partono le fantasie sul padre.

Dove va? Cosa fa quando parte?

(nei libri in genere non si racconta cosa fa il personaggio al di fuori della narrazione, però il lettore dovrebbe immaginarlo e se non lo fa è perché la narrazione non regge).

Alla fine c’è l’immagine della Bella Addormentata (dice che Arturo ha dormito per 16 anni ed è come se si fosse svegliato solo in quel momento), ma fa riferimento anche al risveglio con uno spillone in fronte, che nella favola originaria non c’è, mentre invece è molto presente nella tradizione favolistica italiana – vedi Fiabe italiane di Italo Calvino.

Il libro è visto come un sogno.

Infatti, durante la presentazione del libro Morante – accompagnata da Sandro Penna – se ne rimase sulla sedia quasi abbandonata, con gli occhi socchiusi, e disse che aveva realizzato una specie di sogno – un vecchio sogno, ossia quello di essere un ragazzo. Per Morante la letteratura è un teatro dell’immaginario. Il tempo del libro è molto dilatato e non è lo stesso della vita, è come se il tempo della storia fosse al suo stesso interno. Nel libro all’inizio ci sono solo personaggi maschili, poi entra la cagna Immacolatella ed in seguito il padre porta con sé una giovane moglie, Annunziata. Mazzucco afferma che la descrizione della ragazza è uno dei pezzi più belli della narrativa italiana. Oggetto chiave dell’isola di Arturo è un orologio che appartiene al padre e che scandisce il tempo, che nella vecchiaia diventa veloce al contrario di quello lento dell’adolescenza. Il libro rappresenta un grande sogno, dove le due identità – del padre e di Arturo – vengono svelate poco prima del risveglio. Tutto ciò che uno scrittore ha letto ed ha vissuto finisce inevitabilmente dentro il libro.

COMMENTI PERSONALI:

Prima del perfect day avevo iniziato a leggere il libro della Morante, ma dopo poche pagine mi ero fermata piuttosto annoiata. Avevo anche iniziato “Il giorno della Medusa” di Melania Mazzucco, giusto per avere un’idea di come scrivesse, ma anche qui mi ero fermata dopo poche pagine, questa volta per mancanza di tempo. Ho ripreso in mano l’isola di Arturo ed è come se la noia che mi avesse invasa fosse sparita, lo sto trovando piacevole, nonostante le descrizioni piuttosto lunghe che io non amo molto.

In poche parole: Mazzucco è riuscita a farmi venire la voglia di leggere il libro!

L’impressione che ho ricevuto di lei è stata molto positiva. All’inizio era piuttosto impacciata ma poi con grande competenza ha tracciato lo schema del libro, portandoci all’interno e facendocelo vivere come un sogno, quale è. E’ certamente una donna di grande cultura, che ha mostrato senza essere pedante né saccente, ma in modo molto semplice. La scelta di assistere ad una sua lezione è stata dettata dal fatto di essere l’unica donna scrittrice tra gli otto invitati.

Ore 11,30 SANDRO VERONESI

Vangelo di Marco.

Il vangelo di Marco è il primo testo narrativo non epico della storia ed è anche il primo dei vangeli scritti. Dopo la morte di Gesù e prima della stesura dei vangeli c’è stata una tradizione orale piuttosto ampia – 30/40 anni - con la costruzione di blocchi tematici, ma senza un testo. C’è un passaggio di lingua, dall’aramaico al greco, lingua nella quale è stato scritto. Marco si trovava a Roma, vicino a Pietro, unico tra tutti gli evangelisti ad avere una fonte diretta. I vangeli di Marco, Luca e Matteo sono sinottici, cioè hanno una narrazione simultanea, mentre quello di Giovanni è successivo. E’ un vangelo breve, dove mancano alcune cose importanti (il discorso della montagna, la Madonna, le apparizioni dopo la resurrezione), notizie che ci sono nella tradizione orale e che vengono riprese negli altri due vangeli. Viene considerato un vangelo d’azione, indizio di una scrittura molto moderna (nonostante non volesse tenere un corso di scrittura creativa!!!) E’ un vangelo scritto nel tentativo di convertire i Romani, i quali si sono dimostrati più permeabili verso le religioni, ma anche i più crudeli. Matteo e Luca invece hanno scritto per i Giudei e quindi i loro vangeli sono carichi della tradizione talmudica. Gesù diceva che la tradizione ebraica era finita e iniziava qualcosa di diverso, altri invece hanno cercato di annodare Gesù con la tradizione precedente.

Marco usa la tecnica narrativa per avere un effetto spettacolare, agendo soprattutto sul mistero: chi è costui?

Il vangelo comincia con il Battista, tralasciando il presepe o la genealogia di Gesù perché deve richiamare l’attenzione dei Romani su qualcosa di importante. Marco le spara grosse (le scene di massa, con cinquemila persone, mai 2-300 persone). Siamo nel deserto, fiume Giordano e Battista (che i Romani non conoscono ma che Marco cita perché è basilare nella sua storia perché è il precursore di Gesù) viene descritto come è vestito (peli di cammello) e cosa mangia (locuste e miele), però è il più forte (chiaro messaggio ai romani). Si mette a battezzare e riconosce Gesù tra la folla. Qui si rovescia il ruolo di insegnante e discepolo e Battista dice ai Romani “non sono io il più forte, ma lui”. Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi, ecco che si apre il cielo ed una voce dice “lui è il mio figlio prediletto” (effetti speciali a tutto spiano!)
Ma, che mistero è questo che mi viene svelato in prima pagina? Certo, perché la narrazione si basa sul mistero di chi è Gesù (un po’ come nei film del tenente Colombo, dove si sapeva già all’inizio chi era l’assassino e la trama era proprio quella di andare alla scoperta del personaggio).
E’ un vangelo dove si va dritti all’azione: nel deserto Gesù batte Satana, che rappresenta l’antagonista, e che sa benissimo chi è Gesù e infatti scappa sempre. Ad un certo punto viene data una notizia: il Battista viene arrestato (ma che è morto lo si saprà solo molto più avanti).

Il ritmo del vangelo: è una cosa interna della narrazione.

Gesù ha bisogno dei discepoli, ma non ora, gli serviranno più avanti per la predicazione e la chiamata serve per farli diventare ciò che saranno dopo di lui. Trovano un covo a Cafarnao in casa di Pietro, perché lui ed i discepoli cominciano ad essere una banda di agitatori. Per ringraziare Pietro della sua ospitalità, guarisce sua suocera (e questo è sicuramente un ricordo di Pietro, perché questo particolare negli altri vangeli non c’è) Qui guarisce tutti i malati e libera gli indemoniati, è braccato dalla folla che lo segue per farsi guarire e quindi ogni mattina all’alba scappa.
Gesù era diventato famoso di nome, ma poche persone conoscevano il suo viso, infatti Giuda dovette baciarlo per far sì che i soldati romani lo riconoscessero. Quando Gesù guarisce qualcuno o fa risuscitare i morti, dice di non dirlo a nessuno (ma come si fa a non dirlo: lo sapevano tutti che quello era malato o era morto!!!). E fa così perché lui NON era solo un guaritore, ma era colui che era atteso.

Le cinque controversie galilaiche: Gesù affronta i Farisei e gli Scribi e li provoca.

Scena cinematografica: a Cafarnao, assediata dalla folla (sempre oceanica) Gesù è con gli Scribi ed i Farisei (che, ricordiamo, lo stressano perché non rispetta il sabato – e lui ricorda che anche Davide non rispettò il sabato, perché il sabato era per l’uomo e non l’uomo per il sabato – oppure perché non si lava le mani), arrivano i parenti di un paralitico, i quali aprono un buco nel tetto e gli calano il paralitico davanti.
In questo caso, il suo scopo non era quello di guarire ma di provocare, allora che fa? Gli rimette i peccati! (che sfiga…) I Farisei insorgono. “Chi sei tu per rimettere i peccati?” e Gesù risponde con una domanda “Cos’è più difficile: rimettere i peccati o guarire?” e il paralitico si alza e se ne va (gli è andata bene). Gesù dice agli Scribi che lui è il Figlio dell’uomo, non il figlio di Dio. Alcuni particolari del vangelo fanno riferimento alla tradizione giudaica, (per esempio il lievito, di cui ne è piena). Gesù rispiega le parabole ai discepoli (e quindi anche ai Romani) perché vuole che siano pronti, ma questi non si impegnano molto, hanno sempre fame e non si fidano di Gesù che procuri loro il cibo.
Quando Gesù torna a Nazareth, nessuno gli crede e lo cacciano (nemo profeta in patria)… C’è un discorso bellissimo circa le cose che possono essere mangiate (i cristiani, a differenza dei musulmani, possono mangiare di tutto) perché non è ciò che entra nel corpo che lo corrompe, ma quello che esce (ossia Satana) Ai tempi di Gesù il sistema si era incartapecorito, poiché i sacerdoti pensavano solo alle norme.

Ma Dio dov’era finito?

Miracolo della moltiplicazione dei pani: nonostante Gesù cerchi di addestrarli, loro ancora non gli credono. Va a Gerusalemme, cercando strade deserte (per evitare di essere catturato anzitempo), e qui manda i discepoli in avanscoperta, li addestra su come si devono comportare, così Gesù ed i discepoli si separano (la stessa strategia della guerriglia). Prima di andare nel tempio di Gerusalemme, Gesù ha fame, vede un fico senza frutti (non era neanche la stagione…) e lo maledice. Il fico rappresenta il tempio corrotto e quando tornerà al tempio ecco che si arrabbierà. Nell’ultima cena i discepoli sono confusi (“io ti tradirò?” chiede Giovanni)
Sul monte degli Ulivi sono tutti ubriachi e Gesù è sconfortato. Dopo la sua morte, un convertito del Sinedrio chiede il suo corpo, altrimenti sarebbe finito nella fossa comune, e un centurione esclama “Allora è proprio figlio di Dio” (detto da un romano…) Viene seppellito (non di sabato) e la domenica mattina arrivano le donne per rendergli gli onori, ma Gesù è risorto. Glielo dice un giovinetto, vestito di bianco, e dice ai discepoli che si sarebbero rivisti in Galilea. E qui finisce il vangelo!!!

COMMENTI PERSONALI

Sandro Veronesi è – in assoluto – lo scrittore che più mi è piaciuto.
La sua narrazione – con un lieve accento toscano – era piena di scurrilità (una signora, dall’alto della sua età e dai capelli completamente bianchi, alla fine lo ha rimproverato per avere detto troppe parolacce, soprattutto all’interno di una narrazione di un testo sacro… e lui “ha ragione, anche la mi’ mamma me lo diceva sempre…) che hanno fatto ridere tutta la platea e sottolineavano in modo chiaro ciò che voleva mettere in risalto.
E’ stato l’unico che ha saputo creare un feeling con il pubblico ed è stato l’unico che – dopo qualche minuto dall’inizio – si è alzato in piedi per guardarci in faccia e per farsi vedere da tutti. Spassosissimo ma assolutamente preparato. (Mi sono fatta fare la firma sull’agenda degli appunti… non ho potuto farne a meno!)

Ore 14,30 ANTONIO SCURATI

Iliade di Omero

L’Iliade appresenta la fondazione degli elementi della guerra nella tradizione classica. Sia l’Iliade che l’Odissea rappresentano i fondamenti della cultura occidentale e NON sono testi religiosi. La nostra è una civiltà letteraria e nei due libri la rappresentazione della guerra manifesta delle costanti che trovano la loro origine nel paradigma omerico. Qual è il paradigma che influenzerà il racconto della guerra in occidente? (lo si ritrova anche nelle narrazioni medianiche delle guerre odierne, dove il potere ufficiale legittima il ricorso alle armi). Già alle origini, quando la narrazione era ancora orale, la guerra veniva raccontata agli occhi. La guerra è stata raccontata per immagini, con la priorità del senso della vista. Il mondo epico della narrazione si fonda sul criterio della piena visibilità: la guerra è l’oggetto della narrazione epica per antonomasia. Nel terzo canto il consiglio degli anziani guarda l’esercito acheo schierarsi per la battaglia. Priamo chiama Elena a sedersi nel consesso, lei all’inizio è recalcitrante perché sa di non essere amata dagli anziani per essere stata la causa della guerra di Troia, ma alla fine accetta.
(Fino al terzo canto non c’è la guerra). Priamo le chiede la condizione perché ci sia la guerra ed Elena dà un’occhiata dall’alto delle mura e riconosce i vari campioni presenti (Agamennone, Ulisse…), nonostante lei non potesse “realmente” farlo perché era troppo lontana. Questa tecnica di avvistamento rappresenta la tecnica della narrazione guerriera, cioè il mondo deve essere visto. L’epica omerica è il paradiso dello spettatore ed è spettacolare perché parla prima di tutto alla vista. Lo sguardo di Elena che passa sugli Achei è lo sguardo di Omero, ma è anche lo sguardo del lettore, che diventa il personaggio di Elena in qualità di spettatore. È un preliminare indispensabile perché la guerra possa essere narrata. Come si presenta la guerra: è formulata attraverso diverse monomachie, ossia l’affrontarsi di due contendenti, appiedati, con armi da taglio e non da lancio, all’ultimo sangue (uno dei due deve morire per forza). Da uno sfondo indistinto emergono i due campioni e divengono ben visibili, essi stessi si riconoscono (a volte declinano persino la propria genealogia, trovando persino degli antenati comuni). La monomachia è uno stile narrativo (già nel 1200 a.C. non si combatteva più così, è diventata una mitizzazione del passato). Ogni volta che si vorrà legittimare la guerra, si prenderà ad esempio Omero (anche ai giorni nostri), la guerra è pensata come duello e verrà enfatizzata una duplice virtù: decisiva (perché deciderà in maniera inequivocabile ed inappellabile), anche se non sempre è così, perché la guerra prosegue nelle sue conseguenze dannose, come la guerriglia), e rivelativa, perché è il momento della verità, che parla agli occhi, la fonte più sicura delle certezze, è il momento in cui le certezze vengono alla luce “tu sei come appari”. - visione di un pezzo del film “Troy”, quando Achille chiama Ettore. Da fuori campo si sente la voce di Achille che chiama Ettore, mentre il Troiano saluta la moglie ed il padre, che lo trattano già da persona morta (lo sanno che morirà). Ettore chiederà ad Achille che il vincitore conceda gli onori al perdente, ma quegli risponderà “non si fanno patti tra uomini e leoni”. La voce fuori campo che chiama Ettore è quella della morte, perché quando si chiama qualcuno è sempre per la morte. La gloria si manifesta come qualcosa di splendente. La guerra è concepita come cosa bella dal punto di vista estetico, è il bello per antonomasia, ha a che fare con l’epica eroica: il guerriero ambisce alla fama, ma per poter risuonare alle orecchie dei posteri deve brillare, deve separarsi dal fondo indistinto della mischia, quindi il guerriero deve sacrificarsi alla morte. I Greci non si aspettavano una vita dopo la morte (l’Ade era un mondo minore, ombre che si aggiravano nell’eternità in un luogo che non ha più storia perché non ha più luce). Per avere l’immortalità poetica e quindi narrativa, i guerrieri dovevano entrare nello splendore della gloria.

Perché l’eroe si affida alla morte per raggiungere la gloria?

Sarpedonte, capo dei Lici, ne dà la spiegazione: “visto che si deve morire, riceviamo o diamo gloria agli altri.” La sua natura di mortale gli concede di avere un destino. Il cosmo è privo di storia, perfetto, pieno di meccanismi eterni che si ripetono, l’unica cosa che è nel tempo è la vita umana. La morte è la condanna ed il privilegio dell’uomo: l’eroe pretende di scrivere da sé la propria storia e la sceglie per interrompere la morte naturale. L’unica forma di sopravvivenza è l’immortlità narrativa.
Il mithos (racconto) è l’unica forma di discorso appropriato all’uomo, ciò che lo rende diverso da un qualsiasi individuo è che è lui a scrivere la storia della propria vita. Il romanzo è l’erede dell’epica e ne è anche l’orfano. Come ci racconta la guerra il romanzo? Con gli stessi termini ma sovvertiti, cioè si comincia in modo negativo nel senso dell’impossibilità.
Caduta dell’esperienza: il mondo non è più tale da essere riconosciuto.
Il paradosso di Stendhal: l’ultima persona a cui chiedere come si è svolta una battaglia è proprio il soldato che l’ha combattuta. Nel libro “La certosa di Parma” di Stendhal, il protagonista Fabrizio del Dongo si trova al centro della battaglia di Waterloo e non se ne rende conto. Il cinema è il modo di raccontare la guerra tipico di chi ha smarrito l’esperienza e si affida all’occhio della telecamera, che consente di scomporre un singolo accadimento e di trovare un senso percettivo che ormai – all’esperienza dello spettatore – non rappresenta più alcun senso. - visione della battaglia tra due bande rivali nel film “Gangs of New York” di Martin Scorsese (ad un certo punto ho smesso di guardare perché le scene erano troppo cruente. Il film l’avevo già visto ma credo di aver distolto lo sguardo anche allora). È la battaglia tra due opposte fazioni, sanguinosa ed all’ultimo sangue (musica martellante di sottofondo) e quando uno dei due capi muore, la battaglia termina. In questa battaglia, il regista ci porta all’interno della battaglia stessa. Solo la tecnologia può fornire questa visione così particolare.

COMMENTI PERSONALI

Il ritmo – specialmente all’inizio – è stato piuttosto lento (per sua stessa ammissione, Scurati era un po’ assonnato) ed in alcuni momenti piuttosto accademico (anche di questo eravamo stati informati all’inizio).
Personalmente ho trovato la lezione interessante, altri invece l’hanno trovata troppo formale e non molto coinvolgente. Sarà perché amo molto la storia ed il romanzo storico, mi è piaciuto entrare nella narrazione dell’Iliade con una visione non certo consueta. Mi ritornavano alla mente i ricordi del libro “Il canto di Troia” di C. McCullough, che mi è piaciuto molto per l’impostazione che lei ne dato. Certo, non è stata una lezione facile (mi succede raramente, ma Scurati ha detto un paio di parole di cui non conoscevo il significato! Credo che poi l’abbia spiegato, ma non ricordo esattamente). Ha fatto riferimento a ricordi personali (e qui ci siamo tutti rianimati) di quand’era ragazzo e viveva negli USA, in un paese dove c’era neve per metà dell’anno. La sera i ragazzi si ritrovavano ed immancabilmente facevano a botte (fuori, è ovvio, con un freddo esagerato e per giunta senza cappotto!) Questo per spiegare come, ancora oggi, i duelli della tradizione omerica siano, ma non solo tra persone, ma anche tra nazioni. Alla fine si arriva sempre a due contendenti.

Ore 16,30 ALESSANDRO BARICCO

Un posto pulito, illuminato bene – da i 49 racconti di Hemingway

Baricco inizia la sua lezione leggendo le prime righe del racconto: in 12 righe c’è l’incipit e qui mancano tutti i particolari, come se già si conoscessero l’ambiente ed i personaggi. Hemingway ci fa abitatori del suo mondo senza domande. Verifichiamo se in ciò che ha detto c’è solo quello oppure c’è anche quello che ci abbiamo messo noi, i lettori.
Rilettura dell’incipit. Questa è una disponibilità dello scrittore alla freddezza, che porta con sé dei rischi: sfidare il lettore con questo applombe, c’è anche il fatto di dire “guarda come sono bravo!”, ma il coraggio ha anche una sua forza ed è maggiore che se fosse stato descritto (l’incipit) in modo più plateale.

In questo il lettore trova le ragioni per stare ad ascoltare.
I personaggi: un caffè, un vecchio, due camerieri.
Anche visivamente, nel leggere il racconto, c’è un ritmo.

Dopo l’incipit c’è un breve dialogo, molto serrato (domanda e risposta, senza “disse, rispose, mormorò… solo il primo disse era indispensabile ed è stato messo, ma non ci sono altre indicazioni per aiutare il lettore nel comprendere chi parla e chi risponde. Evita il ping pong, caro ad altri scrittori come Flaubert. Addirittura il dialogo potrebbe essere pronunciato da una persona sola), poi altro blocco di descrizione, anche se non aggiunge informazioni rispetto a quelle che già avevamo: guarda la strada dove c’è una coppia che passa e questo è il primo movimento del racconto, altro dialogo e poi ritorna l’attenzione sul vecchio. Prima i due camerieri erano indistinti, poi H. decide di identificarli: il cameriere più giovane ha un’interazione con il vecchio, con cinismo. Altro dialogo, H. mette ancora in difficoltà il lettore non dando alcun appiglio.

Ma se ci fosse, non staremmo così attenti.

Man mano i due personaggi vengono sempre più caratterizzati. Di nuovo l’attenzione sul vecchio e forse il modo di parlare del cameriere non era necessario, nel senso di frasi così tronche “finito. …”Il vecchio se ne va con dignità e rimangono in scena i due camerieri. Altro dialogo.

Rifacciamo il percorso: perché ha inserito i due camerieri dando l’idea di un personaggio solo per poi separarli?

Perché alla fine, quando sono ben identificati, uno dei due se ne va e rimane solo il cameriere più vecchio, quasi un’identificazione con il vecchio dell’inizio. Il cameriere vecchio continuerà a parlare da solo. “di cosa ha paura? Del niente” C’è uno sbandamento nella preghiera (con tutti quei nada) per poi ritornare perfetto nel finale.

COMMENTI PERSONALI:

Il ritmo è stato lentissimo. Bisogna considerare che quasi ogni pezzo veniva letto due volte: una prima volta per conoscerlo e la seconda, dopo le considerazioni, per vederle all’interno delle frasi. Già il racconto – che avevo letto dato che era molto breve – non mi aveva dato un granché. Certo, Baricco lo ha smontato e rimontato in ogni sua parte, ma già il ritmo del racconto era lento, lui anche… insomma è stato decisamente noioso. Ad un paio di domande, ha risposto che non ci aveva mai pensato ed ha lasciato cadere il discorso. E’ vero però che – unico fra tutti – ha coinvolto il pubblico facendo domande sul racconto. Forse perché era l’ultima lezione della giornata, ma non vedevo l’ora che finisse.

UN GIORNO QUASI PEFETTO

La sensazione maggiore che ne ho ricavato alla fine è stato di un tempo dilatato a dismisura, come se non fosse successo tutto in un giorno solo ma in più giorni. Mi piaceva l’attenzione che tutti i partecipanti prestavano ai relatori (non si sentiva una mosca volare), gli interventi in verità non sono stati molti ma in genere tutti gli scrittori hanno risposto con competenza. Se dovessi stilare un ordine di preferenze, metterei certamente al primo posto Veronesi, poi la Mazzucco, seguita da Scurati e per finire Baricco, che è stato davvero una delusione (ah, gli avevo chiesto se potevo fare una foto con lui e non ha voluto. No comment).

In generale tutti gli scrittori presenti si sono mostrati disponibili sia nel fare autografi su libri o su fogli ed anche per brevi chiacchierate.
Durante la pausa pranzo (tramezzini, frutta e pasticcini, nonché bibite) nel salone della scuola Holden sembrava assolutamente naturale vedere gli scrittori – che fino a ieri avevi visto solo in foto o di cui avevi letto i libri – passare di fianco a te…

La sera alle 20,30 c’è stata le festa finale, presso il circolo canottieri di Torino, un posto bellissimo sul Po.

Purtroppo qui il giorno è diventato quasi perfetto.

Nei miei pensieri – magari ingenuamente – mi ero immaginata una serata durante la quale si sarebbe dialogato non solo tra noi partecipanti ma anche con loro di cultura, di libri, di tutto! Invece… quasi subito è iniziata una musica assordante che è proseguita per tutta la serata impedendo qualsiasi tipo di conversazione (era impossibile parlare per più di due minuti!), i camerieri passavano tra le persone distribuendo il cibo in ciotoline di plastica quadrate (neanche a dire che erano presi d’assalto): antipasto, riso e roast beef tutto distribuito nelle ciotoline! Lucarelli – molto disponibile durante il pomeriggio – ha fatto un salto di convenienza e si è subito dileguato, gli altri invece sono rimasti fino quasi alla fine (io me ne sono andata che era quasi l’una e c’erano ancora Scurati, Ammaniti e Starnone). Verso le 10 c’è stata la premiazione della scuola Holden da parte di Montbanc, che aveva offerto la serata, con la consegna a Baricco di una penna bellissima!

Mi è molto dispiaciuto non poter conversare un po’ con gli scrittori, ma le condizioni non lo hanno assolutamente permesso: durante il giorno perché le pause tra una lezione e l’altra sono state brevi e la sera per impossibilità. In compenso ho fatto conoscenza con un gruppetto di altre partecipanti (curiosamente tutte donne) con le quali ho avuto modo di parlare e di scambiare pareri, che coincidevano perfettamente per quanto riguarda il finale della serata. Anch’esse si sarebbero aspettate un maggiore scambio (che ne so! Almeno un giro di nomi all’inizio delle lezioni! Ma forse questo si usa solo tra mortali…) ed una maggiore disponibilità (chi ha parlato con Baricco non ne ha ricavato molte soddisfazioni) So però che altri scrittori hanno impostato la loro lezione in maniera differente, con una introduzione personale – per esempio Ammaniti – che lo ha reso molto simpatico. Molto interessante pare sia stata anche la lezione di Carofiglio e di Lucarelli, di Starnone non so.

Sono rientrata a casa che mi pareva di essere stata via una settimana, arricchita senz’altro dell’amicizia con le ragazze incontrate e dell’aver scoperto un mondo differente. Un mondo dove la cultura è di casa, e non è solo un modo di dire.

Un ultimo appunto, alla fine di questo viaggio: Un giorno perfetto ma soprattutto indimenticabile. Mi sono sentita parte di un mondo che non conoscevo e sono stata davvero bene. Difficile comunicare le sensazioni che uno prova, ma impossibile scordarle.
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MessaggioInviato: Lun Lug 07, 2008 4:12 pm    Oggetto: Adv






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