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Sito Letterario & Laboratorio di Scrittura Creativa di Monia Di Biagio.

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Aldo Palazzeschi: Vita&Opere.
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MessaggioInviato: Mar Ott 10, 2006 9:14 pm    Oggetto:  Aldo Palazzeschi: Vita&Opere.
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Aldo Palazzeschi: Vita&Opere.

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Aldo Palazzeschi in una fotografia di Mario Nunes Vais (1913)

Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Giurlani) (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974) è stato un poeta italiano. Padre della neoavanguardia. Aldo Giurlani, che solo dal 1905 iniziò a firmarsi con il cognome della nonna materna, Palazzeschi, nacque a Firenze nel 1885 da una famiglia di agiati commercianti e per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all'arte e alla scrittura. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che diede al Palazzeschi fama di rango nazionale. Tuttora viene considerato tra i maggiori poeti del Novecento.

Indice [in questa pagina]:

1 La sua prima produzione letteraria
2 Il periodo futurista
3 Il richiamo alle armi e gli anni del fascismo
4 Gli anni romani
5 Poetica
5.1 L'originalità della sua poesia
5.2 La narrativa
5.3 La coerenza delle sue opere
6 Opere
6.1 Poesia
6.2 Narrativa
6.3 Epistolari

***********

La sua prima produzione letteraria

Inizialmente, si dedicò alla recitazione: Nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione "Tommaso Salvini". Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D'Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l'artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia.

Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall'attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all'appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario (Cesare Blanc che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimara 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo da Sergio Corazzini con il quale iniziò una fitta corrispondenza fino alla precoce morte del poeta avvenuta nel 1907. La recensione purtroppo non ebbe un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto.

Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell'artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta del trisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d'esordio del poeta.

Nel 1908 pubblicò, sempre presso l'immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo : riflessi, ricco di fonti letterarie e di sapore abbastanza chiaramente omosessuale.

Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?, Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario ed il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l'artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell'anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata.

Il periodo futurista

In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell'uso del verso libero . Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista "Poesia". Pubblicherà la raccolta di poesie l'Incendiario. Qui si ritrova lo scherzoso componimento Lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato.

Il 1913 è l'anno del romanzo Il codice di Perelà. Segue il manifesto del Controdolore nel 1914 che era apparso in precedenza sulla rivista "Lacerba".

Palazzeschi inizia dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all'appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo.

In ogni caso, l'interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l'entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti. Infatti, la vitalità esasperata del movimento lo rendeva scettico; presumibilmente, essa non corrispondeva pienamente al suo carattere, in un certo senso provocatorio ma non necessariamente aggressivo. Alla vigilia della grande guerra i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutralista e si oppose dunque all'intervento dell'Italia nel primo conflitto mondiale che veniva invece propagato dal movimento futurista dei marinettiani. Una tale discrepanza non poteva significare che il distacco definitivo.

In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé.

Si avvicinò all'ambiente de "La Voce" di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista.

Il richiamo alle armi e gli anni del fascismo

Durante l'estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi...mancati 1920.

Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti ; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al "Corriere della sera". Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, sempre presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno "scherzo" iniziato nel 1912 dal titolo La Piramide. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo De Pisis, Pablo Picasso, Georges Braque, Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall'editore Preda a Milano l'edizione definitiva delle Poesie risistemate con adattamenti dettati dal suo nuovo gusto poetico; nel 1932 sono Le stanze dell'Ottocento, prose di ricordi; del 1934 è il romanzo Le sorelle Materassi, forse il principale della sua carriera di romanziere. Il 1937 è l'anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle.

Gli anni romani

Nel 1938 muore il padre e nel 1939 la madre e Palazzeschi, nel 1941, si trasferisce a Roma dove abiterà fino alla morte.

Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi...mancati testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale.

Nel 1948 vinse il premio Viareggio con il romanzo I fratelli Cuccoli e nel 1957, dopo altri libri in prosa (Bestie del '900 nel 1951, Roma, nel 1953), e poesia (Difetti nel 1947), gli venne assegnato dall'Accademia dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura.

Nel 1960 l'Università di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa.

Negli anni della vecchiaia Palazzeschi scrisse ancora moltissimo: nel 1964 le prose autobiografiche Il piacere della memoria; una serie di romanzi (Il doge, 1967; Stefanino, 1969; Storia di un'amicizia, 1971), due libri di poesia, Cuor mio, nel quale confluirono i versi delle plaquettes Viaggio sentimentale del 1955 e Schizzi italofrancesi del 1966), e Via delle cento stelle del 1972.

Collaborò inoltre alla produzione dello sceneggiato a puntate delle Sorelle Materassi, messo in onda dalla RAI sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l'opera dell'artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt'altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere.

Nel 1974, quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant'anni e la rivista "Il Verri" gli dedicava un numero monografico, lo scrittore, colto da crisi polmonare, morì. Era il 18 agosto.

Poetica [modifica]

-L'originalità della sua poesia-

Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto una sua individualità e una particolare fisionomia.

Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi dei languori e degli abbandoni tipici di un Corazzini, e se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.

Analoghe considerazioni valgono per l'adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista "Lacerba", nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: "bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L'uomo non può essere considerato seriamente che quando ride...Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...". Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall'immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo.

Sempre in tema di futurismo, si pensi all'originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente, o in Passeggiata: quella che all'inizio pare un'incomprensibile macedonia di numeri, lettere e parole è in realtà un componimento logico ed originale, creato con una tecnica inventata nelle arti figurative pochi anni prima. Si tratta del Collage. La poesia non è infatti altro che l'enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l'io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l'esaltazione del movimento, né l'attivismo politico, ma solo la distruzione delle tradizionali strutture.

L'umorismo funambolesco di Palazzeschi ha purtroppo portato ad interpretazioni discutibili. Spesso si propone una lettura del poeta in chiave di stile infantile, interpretazione che viene avanzata da parte di critici che sottovalutano la natura tragicomica della vena scherzosa di Palazzeschi. Egli non fu affatto un poeta infantile come spesso tutt'oggi si dice; né tanto meno possiamo parlare di un poeta particolarmente adatto all'insegnamento della letteratura nella scuola elementare (fatta eccezione per pochissimi componimenti). Gli elementi naïf della sua arte scrittoria ricorrono in fondo proprio nei componimenti più tetri e sconcertanti. Si tratta allora di un infantilismo irriverente che per Palazzeschi costituiva una forma di ritirata, di protesta. Basti infatti pensare a quanto dichiarava l'artista a proposito delle sue opere di gioventù: "Il mio lettore si aspetta che io scriva qualcosa per spiegare questa poesia simbolistica, che è il contrario della poesia sana. Ma non posso farlo: lo spaventerei troppo!"

Va infine ricordato che l'autore stesso è sempre stato allergico alle etichette, ragion per cui nella celeberrima Chi sono? rifiuta persino lo status di poeta o artista, per limitarsi a definirsi provocatoriamente "saltimbanco dell'anima mia".

La narrativa

Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell'opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall'autore già nel 1911 con Il Codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l'irrisione dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità.

Anche nell'opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelle Stampe dell'Ottocento del 1932 e nelle Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione.

La coerenza delle sue opere

A partire dalle opere giovanili per arrivare a quelle del periodo futurista ed a quelle successive, si nota uno sviluppo umano ed artistico accompagnato da un'indiscutibile coerenza artistica da parte di Palazzeschi. Il tono delle opere va di pari passo con gli sviluppi biografici: se da principiante Palazzeschi viveva in maniera eccessivamente riservata, continuando a vivere dell'aiuto familiare, il Palazzeschi maturo ed affermato è più dinamico, più estroverso e più sfaccettato nella forma e nel tono dei suoi componimenti.

Durante la sua vita, similmente al Petrarca o a Giuseppe Ungaretti, Palazzeschi riscrisse e risistemò con cura i suoi componimenti poetici, raccogliendoli in una specie di "antologia" che rispondeva in grandi linee ad un ordine cronologico. Ne risulta una sorta di sofferta biografia, il cui filo conduttore è costituito dal suo sviluppo personale, nonché dal continuo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento e mantiene sempre una nota di affettuosa tenerezza.

***********************

( Biografia tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera:
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MessaggioInviato: Mar Ott 10, 2006 9:20 pm    Oggetto:  Aldo Palazzeschi: Opere.
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Aldo Palazzeschi: Opere.

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Manoscritto di Aldo Palazzeschi: Incontro con la Musa.

-Poesia-

-I cavalli bianchi,Firenze 1905
-Lanterna, Firenze 1907
-Poemi, a cura di Cesare Blanc, Firenze1909
-L'incendiario. Col rapporto sulla vittoria futurista di Trieste, Milano 1910
-Poesie 1904 - 1914, Firenze 1925
-Poesie, Milano 1930
-Poesie 1904 - 1914, Firenze 1942
-Piazza San Pietro, poesia, in facsimile, illustrata da Mino Maccari, Firenze 1945
-Difetti 1905, Milano 1947
-Viaggio sentimentale, Milano 1955
-Schizzi italo-francesi, Milano 1966
-Cuor mio, Milano 1968
-Via delle cento stelle. 1971-1972., Milano 1972
-Le poesie oggi sono reperibili per lo più in pubblicazioni antologiche.

-Narrativa-

-Allegoria di Novembre, Firenze 1908
-Il Codice di Perelà , Firenze 1911
-Due imperi mancati, Firenze 1920
-Il Re bello, Firenze 1921
-La piramide, Firenze 1926
-Stampe dell'ottocento,Milano 1932
-Sorelle Materassi , Firenze 1934
-Il palio dei buffi, Firenze 1937
-Tre imperi mancati. Cronaca (1922-1945), Firenze 1945
-I fratelli Cuccoli, Firenze 1948
-Bestie del '900, Firenze 1951
-Roma, Firenze 1953
-Scherzi di gioventù (raccolta di lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizi e del manifesto L'antidolore), Milano 1956
-Vita militare, Padova 1959
-Il piacere della memoria, Milano 1964
-Il buffo integrale, Milano 1966
-Ieri, oggi e...non domani, Firenze 1967
-Il doge,Milano 1967
-Stefanino,Firenze 1969
-Storia di un'amicizia, Firenze 1971

-Epistolari-

-Carteggio Marinetti-Palazzeschi, introduzione di P. Prestigiacomo, presentazione di L. De Maria, Milano 1978.

*****************

Tutti i romanzi

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Aldo Palazzeschi - Tutti i romanzi - Mondadori - 2004 - Euro 49,00

Autore storico della Mondadori, Aldo Palazzeschi ha avuto ben presto il privilegio di entrare nella prestigiosa collana de “I Meridiani”: il volume dedicato a “Tutte le novelle” sue è, infatti, in catalogo sin dal 1975.

Nell’ultimo periodo, la variegata e complessa produzione dello scrittore e poeta fiorentino è stata oggetto di un rinnovato interesse critico e culturale (è d’un paio di stagioni fa, il bel collage di cose palazzeschiane proposto a teatro dall’impagabile Paolo Poli, in “Aldino, mi cali un filino?”): da qui, la pubblicazione nel 2002 ne “I Meridiani” di “Tutte le poesie” e, oggi, di questo primo volume di “Tutti i romanzi”.

Per restare alla raccolta qui in esame, essa abbraccia il periodo fra il 1908 ed il 1934: il più significativo per il Nostro, se è vero che esso include i capolavori “Il Codice di Perelà” (1911) e “Le sorelle Materassi” (1934), oltre a lavori diversamente interessanti quali: “riflessi” (1908) e “La Piramide” (1926).

Completa il volume - curato da Gino Tellini, docente all’Università di Firenze e presidente del Centro Studi Aldo Palazzeschi - un Saggio introduttivo di Luigi Baldacci, appositamente redatto per il “Meridiano” e che è, ad ogni effetto, il suo ultimo scritto.

( Articolo di Francesco Troiano, tratto da:
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Tutte le poesie

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Palazzeschi Aldo: Tutte le poesie - Mondadori - pp.1399 - Euro 49,00

La figura di Aldo Palazzeschi (Firenze, 1885 - Roma, 1974), pur occupando un posto di rilievo nella nostra letteratura del ‘900, continua ad essere considerata quella di un sia pur geniale minore. Personaggio dai molteplici interessi (in gioventù, frequentò una scuola di recitazione e per qualche mese fu attore nella compagnia di Lyda Borelli), lasciò tuttavia presto il teatro per dedicarsi alla scrittura.

Vicino al futurismo, movimento nel quale mai si riconobbe del tutto, fu scrittore prolifico e sempre attento a quanto gli avveniva intorno, persino alla lezione delle avanguardie europee: nella sua opera più importante, il romanzo “Il codice di Perelà” (1911), egli narra l'impossibile missione di redenzione della specie umana tentata da Perelà, ricalcando in modi talvolta farseschi la vita di Cristo.

Conosciuto principalmente per le proprie opere di narrativa - da “Due imperi...mancati” (1920) a “La piramide” (1926), da “Le sorelle Materassi” (1934) ad “Allegoria di novembre” (1943) passando per l'atipico grottesco de “Il palio dei buffi” (1936) - e riportato alla ribalta da un recente spettacolo di Paolo Poli incentrato su suoi lavori (“Aldino, mi cali un filino?”), Palazzeschi è pure autore di una copiosa produzione in versi ora riunita nell'eccellente Meridiano di “Tutte le poesie” (Mondadori, pp.1320, Euro 49): il ricco apparato di corredo è di Adele Dei, docente di letteratura italiana all'Università di Firenze e da anni studiosa palazzeschiana, che si è giovata di una gran mole di fonti documentarie.

Nel volume sono riprodotte per intero le prime raccolte, oggi di difficile reperibilità; il corpus delle poesie dal 1905 al 1915; infine, le raccolte della vecchiaia (“Cuor mio”, 1968; “Cento stelle”, 1972) e le liriche cui Palazzeschi lavorava prima di morire, riprodotte da stampe sparse o da manoscritti.

Un'eccellente occasione, insomma, per approfondire un lato del Nostro di solito noto pei pochi testi letti nei primi anni di scuola. Ben altra è l'attenzione che merita, come testimonia l'interesse nutrito in passato da grandi critici: e, pel futuro, da un numero si spera crescente di lettori.

( Articolo di Francesco Troiano, tratto da:
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Ultima modifica di Monia Di Biagio il Ven Set 14, 2007 6:04 pm, modificato 3 volte in totale
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MessaggioInviato: Ven Set 14, 2007 5:29 pm    Oggetto:  Aldo Palazzeschi: Il Codice di Perelà.
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Aldo Palazzeschi: Il Codice di Perelà.

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Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi, scritto negli anni 1908-1910 venne pubblicato nel 1911 dalle Edizioni futuriste di "Poesia" e in seguito ripubblicato, con alcune variazioni, nel 1920 dall'editore Vallecchi a Firenze e, sempre da Vallecchi nel 1943 nella raccolta Romanzi straordinari 1907-1914 (con variazioni sostanziali), nel 1954 con il nuovo titolo Perelà uomo di fumo, nel 1958 a Milano da Mondadori con il titolo originale fra le Opere giovanili e, da solo, con introduzione di L. De Maria, nell'edizione Mondadori del 1973.

Indice [in questa pagina]:

1 Trama
2 Il codice Perelà nelle pagine della critica
2.1 Luigi Baldacci
2.2 Luciano De Maria
2.3 Marco Forti
2.4 Alberto Asor Rosa e Edoardo Sanguineti
2.5 Fausto Curi
2.6 Piero Pieri
2.7 Guido Guglielmi

*****************

Trama

Attenzione: di seguito viene rivelata, del tutto o in parte, la trama dell'opera.

La vicenda di questa favola allegorica o antiromanzo è molto semplice.

Perelà arriva nella città che fa da sfondo alla vicenda ripetendo fra sé le parole: :"Pena!Rete!Lama!Pena!Rete!Lama!Pe...Re...La...". I primi che lo incontrano sono una vecchia e i soldati del re che si accorgono subito che il personaggio è un essere strano, un piccolo uomo fatto solamente di fumo che alle loro domande risponde: "io sono leggero... un uomo leggero... tanto leggero". La sua storia si conosce dai brevi dialoghi con le persone che incontra sul suo cammino.

Perelà è vissuto per trentatré anni nella cappa del camino di una villa, vicino al quale stavano sedute tre vecchie, Pena, Rete e Lama, che tenevano alimentato il fuoco e parlavano tra di loro. Perelà era stato formato ed educato dai loro lunghi discorsi e quando, d'un tratto, il chiacchierio delle tre donne era cessato, aveva atteso tre giorni e poi era sceso dal camino. Davanti al camino avevo trovato un paio di stivali che aveva indossato e poi si era messo in cammino verso la città.

Giunto così in città attira la curiosità di tutti per il suo modo ondeggiante di camminare, per la materia impalpabile di cui è fatto, per la semplicità e il candore con cui parla.

Quando giunge al palazzo del re viene degnamente ospitato e ha occasione di ricevere una lunga schiera di persone autorevoli che vengono ad esporgli i loro progetti e i loro pensieri. Perelà risponde a tutti con brevi monosillabi e lunghi silenzi, prende il tè con le più importanti dame della città e ascolta le confidenze di amori, passioni, invidie e gelosie. Fra queste dame c'è Olivia di Bellonda che è convinta di aver trovato in Perelà l'anima gemella che aveva tanto e inutilmente cercato. Perelà rimane comunque un mistero e intorno a lui si iniziano a fare mille ipotesi e insinuazioni, ad esprimere le più strane opinioni.

Un giorno Perelà incontra la regina e rimane con lei a lungo. Nel corso dell'incontro un pappagallo, appartenente alla regina, ripete continuamente la parola "Dio". Nel frattempo il re, che sembra stimare molto Perelà, gli affida il compito di compilare il nuovo codice del paese e dà ordini che venga organizzato un grande ballo di corte in onore di Perelà durante il quale Olivia di Bellonda gli dichiarerà il suo amore.

Per preparare il codice Perelà si reca a visitare suor Marianna Fonte, peccatrice pentita e suor Colomba Messerino, vergine pura. Si reca inoltre al camposanto, al Prato dell'amore, al carcere nel quale è tenuto prigioniero l'ex re Iba, al manicomio di Villa Rosa, dove ha modo di conoscere il principe Zarlino, pazzo volontario. Ovunque Perelà rimane attento e disponibile ascoltatore ma sempre silenzioso.

Ad un tratto la posizione favorevole alla corte di Perelà si ribalta, perché il domestico Alloro, impazzito e voglioso di imitare Perelà, si dà fuoco per diventare anche lui fumo. Perelà viene accusato di questa morte e tutta la folla lo insulta. Il re dà ordini che venga processato e condannato ad essere rinchiuso in una minuscola cella in cima al monte Calleio.

Olivia di Bellonda, dopo molte implorazioni, ottiene dal re che sia consentito a Perelà di avere, nella sua cella, un caminetto e un pertugio dal quale ricevere legna da ardere. Questa si dimostrerà la salvezza di Perelà il quale, dopo aver attraversato per l'ultima volta la città tra gli sputi e gli insulti della folla, appena rinchiuso nella cella, si toglie gli stivali e, attraverso il camino, scompare nel cielo sotto forma di una nuvola di fumo.

Il codice Perelà nelle pagine della critica

-Luigi Baldacci-

Il primo a sostenere, in un articolo pubblicato nel 1956 sulla rivista "Belfagor" e in seguito raccolto nel volume Letteratura e verità edito a Milano-Napoli da Ricciardi nel 1963, che Il codice di Perelà era senza dubbio il libro meglio riuscito ed importante di Aldo Palazzeschi, è stato Luigi Baldacci.

Con questo giudizio il critico ribaltava i giudizi finora espressi e spostava l'attenzione dai libri più maturi dello scrittore, come le Sorelle Materassi finora ritenuto il migliore, a questa prima opera di carattere futurista.

-Luciano De Maria-

Nella sua Introduzione alla ristampa da parte di Mondadori del libro nel 1973, raccolta in seguito in Palazzeschi e l'avanguardia, Milano, all'insegna del Pesce d'oro, 1976, il critico Luciano De Maria comparava la storia di Perelà a quella di Cristo trovando così molti punti in comune: trentatré anni per l'uno e per l'altro; l'arrivo improvviso nel mondo, senza intervento paterno; l'ascesa fra la gente che termina in un processo e una condanna; la riflessione sulla collina fuori città simile all'orto degli Ulivi, il monte Calleio che richiama il monte Calvario, l'ascesa al cielo e il messaggio lasciato agli uomini: Il codice di Perelà.

-Marco Forti-

In Romanzi straordinari, in AA.VV., Palazzeschi oggi. Atti del convegno Firenze 6-8 novembre 1976, a cura di L. Carretti, edito dal Saggiatore a Milano nel 1978, Marco Forti ha utilizzato strumenti interpretativi molto acuti sui vari tipi di scrittura che vengono utilizzati nel romanzo. Egli ha messo in evidenza soprattutto l'uso continuo del dialogo, l'uso del monologo, l'uso dei parlati teatrali, i racconti all'interno del racconto, lo stile che anticipa soluzioni surrealistiche, il gusto particolare del fantastico e un forte realismo magico.

-Alberto Asor Rosa e Edoardo Sanguineti-

In Palazzeschi oggi, AA.VV., Alberto Asor Rosa e Edoardo Sanguineti, analizzando il romanzo fanno acute considerazioni sostenendo che Perelà non è altro se non l'espressione di quella utopia che si è venuta a creare dalla divaricazione tra letteratura e ideologia provocata dalla guerra.

-Fausto Curi-

Fausto Curi, sempre in Palazzeschi oggi, ritiene che nell'opera analizzata vi siano suggestioni dovute a Friedrich Nietzsche e alla figura del principe Myskin di Dostoevskij ma soprattutto sostiene che al libro è necessario dare una interpretazione psicoanalitica e paragona Perelà alle fantasie dell'inconscio.

-Piero Pieri-

Piero Pieri nel suo testo critico, L'uomo di fumo, in Ritratto del saltimbanco da giovane. Palazzeschi 1905-1914 pubblicato a Bologna da Patron nel 1980, approfondisce la ricerca dei significati e analizza i collegamenti letterari con l'espressionismo e il futurismo. Nel saggio critico più recente, Il codice di Perelà di Palazzeschi. L'altro del fumo, l'oltre dell'uomo, Pieri, si avventura in una analisi molto più approfondita del libro di Palazzeschi nel quale vede una parabola nichilista.

-Guido Guglielmi-

Guido Guglielmi, in Capricci e maschere, in L'udienza del poeta. Saggi su Palazzeschi e il futurismo, Torino, Einaudi, 1979, nel condurre una accurata analisi testuale dell'opera, collega gli elementi del testo con le diverse interpretazioni simboliche e sociologiche.

******************

(Recensione tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera.)

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MessaggioInviato: Ven Set 14, 2007 5:40 pm    Oggetto:  Aldo Palazzeschi: Le sorelle Materassi
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Aldo Palazzeschi: Le sorelle Materassi

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Aldo Palazzeschi a San Miniato nel 1937

Composto nel 1934, “Sorelle Materassi” è il romanzo più noto di Aldo Palazzeschi. Protagoniste sono Carolina e Teresa Materassi, due anziane sorelle ricamatrici, simili “alle agavi indistruttibili e incapaci di crescere, decrepite e bambine”.

Nella grigia esistenza delle due zitelle, dedite al lavoro in compagnia della terza sorella Giselda e della serva Niobe - ” Le due ricamatrici non si movevano mai dal loro arsenale intorno al quale, a rispettosa e rispettiva distanza, si moveva tutto il resto come le stelle intorno al sole” - piomba ad un tratto il nipote Remo, rimasto orfano di madre (la defunta quarta sorella Materassi).

La giovinezza, la bellezza e la disinvoltura del ragazzo spingono le zie a piegarsi ai suoi comandi, cambiando vita e bruciando in poco tempo i risparmi accumulati in anni di duro lavoro.

Abbandonate dal nipote, ridotte alla miseria, le tre donne non cessano tuttavia di adorare Remo, accontentandosi di ricevere qualche cartolina e accettando anche Peggy, modernissima ragazza americana che egli ha sposato.

Il testo è suddiviso in otto grandi capitoli: "Santa Maria a Coverciano", "Sorelle Materassi", "Remo" "Palle", "Teresa e Carolina stanno a vedere, Giselda canta, Niobe va a vendemmiare", "Giselda! Niobe!", "Peggio", "Sepolte vive".

Il primo capitolo inserisce la vicenda sullo sfondo delle colline di Coverciano, intorno a Firenze, con un esplicito richiamo a Boccaccio (una lunga citazione dalla VII giornata del “Decameron”), che inquadra la storia sotto il segno della "beffa", classico tema della novellistica toscana.

Aldo Palazzeschi raffigura con sarcasmo le sorelle attraverso un linguaggio teatrale ricco di formule orali e di espressioni del vernacolo - più evidenti nella sintassi che nel lessico - intessute in un dialogo sorprendentemente effervescente, punto di forza dell'arte palazzeschiana.

Altrettanta vivacità è data dai particolari scenici delle descrizioni e dai giochi linguistici con cui l’autore dà vita a siparietti esilaranti come la scena della “cambiale”, in cui Remo arriva a chiudere le zie in dispensa pur di farsi firmare un’astronomica cambiale.

Il grande successo del romanzo è testimoniato anche dalle riduzioni cinematografiche: il film “Le sorelle Materassi” del 1943, sceneggiato da Bernard Zimmer e diretto da Ferdinando Maria Poggioli, e lo sceneggiato televisivo della Rai del 1972, con la regia di Mario Ferrero.

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( Recensione tratta da:
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MessaggioInviato: Ven Set 14, 2007 5:46 pm    Oggetto:  Aldo Palazzeschi: Poesie.
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Aldo Palazzeschi: Poesie.

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Chi sono?

Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
<<follia>>.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
<<malinconia>>.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
<<nostalgia>>.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

************

Lasciatemi divertire

Tri tri tri,
fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu ihu.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la ... spazzatura
delle altre poesie.

Bubububu
fufufufu
Friù!
Friù!

Se d’un qualunque nesso
son prive
perchè le scrive
quel fesso?

Bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilobù. Filolù.
U.

Non è vero che non voglion dire,
voglion dire qualcosa.
Voglion dire...
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
Iiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
diteci un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tener alimentato
un sì gran foco?

Huisc... Huiusc...
Huisciu... sciu sciu,
Sciukoku... Koku koku,
Sciu
ko
ku.

Come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ornai che scriviate in giapponese.

Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi, è bene che non lo finisca,
il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala...
eppoi lala...
e lalala, lalalalala lalala.

Certo è un azzardo un po’ forte
scrivere delle cose così,
che ci son professori, oggidì,
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi son cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!

************

Visita di protocollo

- Alamdamaramalamandamalà.
- Madama.
- Ciribiribiciribiribiciribiribi.
- Eremsemdereremendereremè.
- Messere.
- Ciribiribiciribiribiciribiribi.
- Infilinfidinfikinfibrillirì.
- Bikini.
- Ciribiribiciribiribiciribiribi.
- Oromsomdororosorodorodò.
- Pomodoro.
- Ciribiribiciribiribiciribiribi.
- Umfudumfulumfutumfurù.
- Fumo.
- Ciribiribiciribiribiciribiribi.

****************

Il pappagallo

La bestia ha le piume di tanti colori
che al sole rilucon cangiando.
Su quella finestra egli sta da cent’anni
guardando passare la gente.
Non parla e non canta.
La gente passando si ferma a guardarlo,
si ferma parlando fischiando e cantando,
ei guarda tacendo.
Lo chiama la gente,
ei guarda tacendo.

*************

La porta

Davanti alla mia porta
si fermano i passanti per guardare,
taluno a mormorare:
<< là, dentro quella casa,
la gente è tutta morta,
non s’apre mai quella porta,
mai mai mai >>.
Povera porta mia!
Grande portone oscuro
trapunto da tanti grossissimi chiodi,
il frusciare più non odi
di sete a te davanti.
Dagli enormi battenti di ferro battuto
che nessuno batte più,
nessuno ha più battuto
da tanto tempo.
Rosicchiata dai tarli,
ricoperta dalle tele dei ragni,
nessun ti aprì da anni e anni,
nessun ti spolverò,
nessun ti fece un po’ di toeletta.
La gente passa e guarda,
si ferma a mormorare:
<< là, dentro quella casa,
la gente è tutta morta,
non s’apre mai quella porta,
mai mai mai >>.

************

L'indifferente

Io sono tuo padre.
Ah, sì?...
Io sono tua madre.
Ah, sì?...
Questo è tuo fratello.
Ah, sì?...
Quella è tua sorella.
Ah, sì?...

************

Ara Mara Amara

In fondo alla china,
fra gli alti cipressi,
è un piccolo prato.
Si stanno in quell’ombra
tre vecchie
giocando coi dadi.
Non alzan la testa un istante,
non cambian di posto un sol giorno.
Sull’erba in ginocchio
si stanno in quell’ombra giocando.

***********

A palazzo Oro Ror

Nel cuor della notte, ogni notte,
la veglia incomincia a palazzo Oro Ror.
In riva allo stagno s'innalza il palazzo,
soltanto lo stagno lo guarda perenne e lo specchia.

Già lenta l'orchestra incomincia la danza,
la notte è profonda.

Comincian le dame che giungon da lungi,
discendon silenti dai cocchi dorati.
Dei ricchi broccati ricopron le dame,
ricopron le vesti cosparse di gemme i ricchi broccati.

Finestra non s'apre a palazzo Oro Ror,
ma solo la porta, la sera, pel passo alle dame.
In fila infinita si seguono i cocchi dorati,
discendon le dame silenti ravvolte nei ricchi broccati.
Lo stagno ne specchia l'entrata,
e l'oro dei cocchi risplende nell'acqua estasiata.

L'orchestra soltanto si sente.
Si perde il vaghissimo suono
confuso fra muover di serici manti.
La veglia ora è piena.
Di fuori più nulla.
Silenzio.

Un cocchio lucente ancora lontano risplende,
s'appressa più ratto del vento
e rapida scende la dama tardante.
Se n'ode soltanto il leggero frusciare del serico manto.

Il cocchio ora lento nell'ombra si perde.

************

Cobò

Chicchicchirichi!… Chicchicchirichi!…
<<Ecco il dì>>.
Cantano i galli di Cobò.
Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore
fra poche ore.
Povero Cobò! Povero Cobò!
Ciangottano i pappagalli.
Addio Cobò! Addio Cobò!
E le galline:
cocococococococodè:
<<oggi è per te>>
cocococococococodè:
<<Cobò tocca a te>>.
Le tortore piene di malinconia
si sono radunate in un cantuccio:
glu… glu… glu…
<<non ti vedremo più>>.
I cani si aggirano mesti
con la coda ciondoloni, mugolando:
bau… bau… baubaubò:
<<addio papà Cobò>>.
E i gatti miagolando:
gnai… gnai… gnai… fufù
<<Mai… mai… mai più >>.
E le cornacchie:
gre gre gre gre
<<anche a te, anche a te >>.
Fissando il capezzale
la civetta
veglia e aspetta.

**************

La fontana malata

Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
Sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace...
di nuovo.
Tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
più nulla.
Si tace,
non s'ode
rumore
di sorta
che forse...
che forse
sia morta?
Orrore
Ah! No.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch...
La tisi
l'uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto...
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide
quel suo
eterno tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari...
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...

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