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Sito Letterario & Laboratorio di Scrittura Creativa di Monia Di Biagio.

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Cecco Angiolieri: Vita&Opere
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MessaggioInviato: Mer Ott 11, 2006 2:05 pm    Oggetto:  Cecco Angiolieri: Vita&Opere
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Cecco Angiolieri: Vita&Opere

Cecco Angiolieri (Siena, 1260 – Siena, 1312 circa) è stato uno scrittore e poeta italiano, contemporaneo di Dante Alighieri.

La critica attuale sostiene che Cecco fu meno ribelle di come lo presentarono i Romantici, i quali lo rivendicarono con forza ai loro ideali. È fuori di dubbio, comunque, che visse una vita perlomeno avventurosa.

Indice [in questa pagina]

1 Biografia
2 S'i' fosse foco, arderei 'l mondo
3 Curiosità

**********

Biografia

Il padre era Angioliero, a sua volta figlio di Angioliero detto Solàfica (cioè Serafica) che per alcuni anni fu banchiere di papa Gregorio IX.Il padre, cavaliere, fece parte dei Signori del Comune nel 1257 e nel 1273 e appartenne all'ordine dei Frati di Maria (Frati gaudenti). Partecipo' col figlio alla guerra d'Arezzo del 1288 ; probabile che fosse ancora in vita nel 1296. La madre era Lisa de' Salimbeni, la potente famiglia senese.

Nel 1281 era fra i guelfi senesi all'assedio dei concittadini ghibellini asserragliati nel castello di Torri di Maremma , tenuto dai ghibellini-la famiglia di Cecco aveva tradizioni guelfe- (nei pressi di Roccastrada) e fu più volte multato per essersi allontanato dal campo senza la dovuta licenza. Da altre multe fu colpito a Siena l'anno successivo, l'11 luglio 1282, per essere stato trovato nuovamente in giro di notte dopo il terzo suono della campana del Comune. Analoga multa lo colpì nel 1291 in circostanze analoghe.Oltretutto, nel 1291 fu implicato nel ferimento di Dino di Bernardo da Monteluco, pare con la complicita' del calzolaio Biccio di Ranuccio ; ma solo quest'ultimo fu condannato.

Militò come alleato dei fiorentini contro Arezzo nel 1288 ed è possibile che qui abbia conosciuto Dante. Il sonetto 100, datato tra il 1289 e il 1294 sembra confermare che i due si conoscessero, in quanto Cecco si riferisce a un personaggio (un mariscalco) che entrambi conoscevano di persona (Lassar vo' lo trovare di Becchina, / Dante Alighieri, e dir del mariscalco).

Intorno al 1296 fu allontanato da Siena, a causa di un bando politico. Si desume dal sonetto 102 (del 1302-1303), indirizzato a Dante allora già a Verona, che in quel periodo Cecco si trovasse a Roma (s'eo so fatto romano, e tu lombardo). Non sappiamo se la lontananza da Siena dal 1296 al 1303 fu ininterrotta. Il sonetto testimonia anche della definitiva rottura tra Cecco e Dante (Dante Alighier, i' t'averò a stancare / ch'eo so lo pungiglion, e tu sé 'l bue). Purtroppo sono andati perduti i materiali poetici danteschi relativi, oltre che alla tenzone in rima, anche alla iniziale probabile amicizia, poi deterioratasi.

Nel 1302 Cecco svendette per bisogno una sua vigna a tale Neri Perini del Popolo di Sant'Andrea per settecento lire ed è questa l'ultima notizia disponibile sull'Angiolieri in vita.

Dopo il 1303 fu a Roma, sotto la protezione del cardinale senese Riccardo Patroni.

Da un documento del 25 febbraio 1313 sappiamo che i cinque figli (Meo, Deo, Angioliero, Arbolina e Sinione - un'altra figlia, Tessa, era già emancipata) rinunciarono all'eredità perché troppo gravata dai debiti. Si può quindi presupporre che Cecco Angiolieri sia morto intorno al 1310, forse tra il 1312 e i primi giorni del 1313. Sappiamo inoltre di lui che venne multato per infrazioni alla vita militare e che ha amato per tutta la vita una certa "Becchina", figlia di un cuoiaio.

S'i' fosse foco, arderei 'l mondo

All'inizio del Trecento, epoca in cui la poesia era dominata dal "Dolce Stil Novo", che rappresentava l'amore con immagini di grande delicatezza e ricercata eleganza, l'irriverente Cecco Angiolieri compose versi di forte provocazione e che tessevano l'elogio delle passioni terrene.

S'i' fosse fuoco - Cecco Angiolieri

S'i' fosse fuoco, ardereï 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil' en profondo; 5

s'i' fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristïani imbrigarei;
s'i' fosse 'mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, andarei a mi' padre; 10
s'i' fosse vita, non starei con lui:
similemente faria da mi' madre.

S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zop[p]e e vecchie lasserei altrui.

Il celebre sonetto S'i' fosse foco, arderei 'l mondo appartiene a una secolare tradizione letteraria goliardica improntata all'improperio e alla dissacrazione delle convenzioni.

L'Angiolieri si colloca all'interno, e sulla vetta di una "scuola" poetica parodistica che è quella dei poeti giocosi ; fra i quali si annoverano Rustico di Filippo, Meo de Tolomei, Folgore, Tedaldi, Faitinetti. Lo stile "giocoso" si risolve spesso in un gioco letterario anche raffinato e socialmente accettato proprio perché convenzionale.

RIFERIMENTI Vitale M.Rimatori comico-realistici del Due e Trecento(Torino, 1956). Marti M.Poeti giocosi del tempo di Dante.Milano, Rizzoli, 1956. Cecco Angiolieri ( a cura di Gigi Cavalli).Rime.Milano, Rizzoli, Biblioteca Universale Rizzoli, giugno 1959.

Curiosità

Il sonetto S'i' fosse foco, arderei 'l mondo ha avuto anche una trasposizione musicale ad opera di Fabrizio De André nell'album Volume III del 1968.

**************

(Biografia tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

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MessaggioInviato: Mer Ott 11, 2006 2:05 pm    Oggetto: Adv






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MessaggioInviato: Mer Set 12, 2007 5:21 pm    Oggetto:  Cecco Angiolieri: Rime.
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Cecco Angiolieri: Rime.

Indice Rime

I - Accorri accorri accorri, uom, a la strada!
II - Or non è gran pistolenza la mia
III - I' ho sì poco di grazia 'n Becchina
IV - Oimè d'Amor, che m'è duce sì reo
V - Egli è sì agro il disamorare
VI - Quanto un granel di panico è minore
VII - Io poterei cosi star senz'amore
VIII - Quando veggio Becchina corrucciata
IX - Io averò quell'ora un sol dì bene
X - La mia malinconia è tanta e tale
XI - E' m'è sì malamente rincresciuto
XII - L'animo riposato aver solìa
XIII - Il cuore in corpo mi sento tremare
XIV - Chi vol vantaggio aver a l'altre genti
XV - Amor, poi che 'n sì greve passo venni
XVI - L'Amor, che m'è guerrero ed enemico
XVII - Quand'i' solev'udir ch'un fiorentino
XVIII - Se si potesse morir di dolore
XIX - Eo ho sì tristo il cor di cose cento
XX - Me' mi so cattiveggiar su 'n un letto
XXI - Da po' t'è 'n grado, Becchina, ch'i' muoia
XXII - Becchina mia! - Cecco, nol ti confesso
XXIII - E' non è neun con cotanto male
XXIV - Lo mi’ cor non s’allegra di covelle
XXV - Sonetto, da poi ch'i' non trovo messo
XXVI - Anima mia, cuor del mi' corp', amore
XXVII - Oncia di carne, libra di malizia
XXVIII - Se 'l cor di Becchina fosse diamante
XXIX - Se tutta l'acqu'a balsamo tornasse
XXX - Figliuol di Dio, quanto ben avre' avuto
XXXI - I' ho sì gran paura di fallare
XXXII - Deh, bàstat'oggimai, per cortesia
XXXIII - Io son sì altamente innamorato
XXXIV - I' ho tutte le cose ch'io non voglio
XXXV - Per ogne gocciola d'acqua, c'ha 'n mare
XXXVI - S'i' non torni ne l'odïo d'Amore
XXXVII - Qualunque ben si fa, naturalmente
XXXVIII - Chi non sente d’Amor o tant’o quanto
XXXIX - Becchin'amore, i' ti solev'odiare
XL - Sed i' avess'un sacco di fiorini
XLI - Io poterei così disamorare
XLII - La mia donna m'ha mandato un messo
XLIII - Sed 'i avess'un mi' mortal nemico
XLIV - Il come né 'l perché ben lo sa Dio
XLV - Se io potesse con la lingua dire
XLVI - E' fu già tempo che Becchina m'era
XLVII - Becchin'amor! - Che vuo', falso tradito?
XLVIII - Da Giuda in fuor, neuno sciagurato
XLIX - Qualunque giorno non veggio 'l mi' amore
L - Lassa la vita mia dolente molto
LI - Maladetta sie l'or' e 'l punt'e 'l giorno
LII - I' m'ho onde dar pace e debbo e voglio
LIII - Io vorre' 'nanzi 'n grazia ritornare
LIV - Becchina, poi che tu mi fosti tolta
LV - Ogn'altra carne m'è 'n odio venuta
LVI - Credenza sia, ma si 'l sappia chi vuole
LVII - S'i' mi ricordo ben, i' fu' d'amore
LVIII - Sed i' fossi costretto di pigliare
LIX - Qual uomo vuol purgar le sue peccata
LX - Io combattei con Amor ed hol morto
LXI - Io sent'o sentirò ma' quel, d'Amore
LXII - I' sono innamorato, ma non tanto
LXIII - E' non ha tante gocciole nel mare
LXIV - Or se ne vada chi è innamorato
LXV - Tutto quest'anno ch'è, mi son frustato
LXVI - In questo mondo, chi non ha moneta
LXVII - Cosi è l'uomo che non ha denari
LXVIII - Se l'omo avesse 'n sé conoscimento
LXIX - Or udite, signor, s'i' ho ragione
LXX - Un danaio, non che far cottardita
LXXI - Di tutte cose mi sento fornito
LXXII - La povertà m'ha sì disamorato
LXXIII - I' son sì magro, che quasi traluco
LXXIV - A chi nol sa non lasci Dio provare
LXXV - In una ch'e' danar mi danno meno
LXXVI - Quando non ho denar, ogn'om mi schiva
LXXVII - Ogne mie 'ntendimento mi ricide
LXXVIII - In nessun modo mi poss'acconciare
LXXIX - Per ogni oncia dí carne che ho addosso
LXXX - La stremità mi richer per figliuolo
LXXXI - Per sì gran somma ho 'mpegnate le risa
LXXXII - I' ho sì poco di quel ch'i' vorrei
LXXXIII - Egli è maggior miracol, com'io vivo
LXXXIV - Se Die m'aiuti, a le sante guagnele
LXXXV - Babb'e Becchina, l'Amor e mie madre
LXXXVI - S'i' fosse foco, arderéi 'l mondo
LXXXVII - Tre cose solamente mi so 'n grado
LXXXVIII - Qual è senza danari 'nnamorato
LXXXIX - Sed i' credesse vìvar un dì solo
XC - I' potre' anzi ritornare in ieri
XCI - I' ho un padre si complessionato
XCII - Morte, merzé, se mi' prego t'è 'n grato
XCIII - Sed i' avesse mille lingue in bocca
XCIV - Il pessimo e 'l crudele odio, ch'i' porto
XCV - Non potrebb'esser, per quanto Dio fece
XCVI - Non si disperin quelli de lo 'nferno
XCVII - Chi dice del suo padre altro, ch'onore
XCVIII - Tant'abbo di Becchina novellato
XCIX - I' non vi miro perzar, morditori
C - Lassar vo' lo trovare di Becchina
CI - Dante Alighier, Cecco, 'l tu' serv'e amico
CII - Dante Alighier, s'i' so bon begolardo
CIII - Quando Ner Picciolin tornò di Francia
CIV - A cosa fatta non vale pentere
CV - Egli è sì poco di fede e d'amore
CVI - Senno non val a cui fortuna è cònta
CVII - Stando lo baldovino dentro un prato
CVIII - Questo ti manda a dir Cecco, Simone
CIX - Avvegna ched i' paghi 'l tu' mirare
CX - Maladetto e distrutto sia da Dio
CXI - S'i' potesse d'amico in terzo amico
CXII - A cui è 'n grado de l'Amor dir male
CXIII - Quando mie donn'esce la man del letto
CXIV - I buon parenti, dica chi dir vuole
CXV - Con gran malinconia sempre istò
CXVI - L'uom non può sua ventura prolungare
CXVII - Un mercennaio intende a grandeggiare
CXVIII - Chi de l'altrui farina fa lasagne
CXIX - Ciò che naturalmente fu creato
CXX - L'altrier sì mi ferìo una tal ticca
CXXI - I' son venuto di schiatta di struzzo
CXXII - Udite udite, dico a voi, signori
CXXIII - I' so non fermo in su questa oppenione
CXXIV - Un Corzo di Corzan m'ha sì trafitto
CXXV - In tale, che d'amor vi passi 'l core
CXXVI - Deh guata, Ciampol, ben questa vecchiuzza
CXXVII - Pelle chiabelle di Dio, no ci arvai
CXXVIII - Ogni capretta ritorn'a su' latte
CXXIX - Salute manda lo tu' Buon Martini

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I - Accorri accorri accorri, uom, a la strada!

- Accorri accorri accorri, uom, a la strada!
- Che ha’, fi’ de la putta? - I’ son rubato.
- Chi t’ha rubato? - Una che par che rada
come rasoio, si m’ha netto lasciato.

- Or come non le davi de la spada?
- I’ dare’ anz’a me. - Or se’ ’mpazzato?
- Non so che 'l dà, così mi par che vada.
- Or t’avess’ella cieco, sciagurato!

- E vedi che ne pare a que’ che ’l sanno?
- Di’ quel che tu mi rubi. - Or va con Dio,
ma anda pian, ch’i’ vo’ pianger lo danno,

ché ti diparti. - Con animo rio!
- Tu abbi ’l danno con tutto ’l malanno!
- Or chi m’ha morto? - E che diavol sacc’io?

******************

II - Or non è gran pistolenza la mia

Or non è gran pistolenza la mia
ch’i’ non mi posso partir dad amare
quella che m’odia e nïente degnare
vuol pur vedere ond’i’ passo la via?

E dammi tanta pena, notte e dia,
che de l’angoscia mi fa sì sudare,
che m’arde l’anima, e niente non pare;
certo non credo ch’altro ’nferno sia.

Assa’ potrebb’uom dirm’: - A nulla giova! -
Ch’ell’è di tale schiatta nata, ’ntendo,
che tutte son di così mala pruova.

Ma per ch’i’ la trasamo, pur attendo
ch’Amor alcuna cosa la rimova:
ch’è sì possente, che ’l può far correndo.

*********************

III - I' ho sì poco di grazia 'n Becchina

I’ ho sì poco di grazia ‘n Becchina,
in fé di Di’, ch’anche non tèn a frodo,
che in le’ non posso trovar via né modo,
né medico mi val né medicina;

ch’ella m’è peggio ch’una saracina
o che non fu a’ pargoli il re Rodo;
ma certo tanto di le’ me ne lodo,
ch’esser con meco non vorrìe reina.

Ecco ’l bell’erro c’ha da me a lei:
ch’i’ non cherre’ a Di’ altro paradiso
che di basciar la terr’, u’ pon li piei;

ed i’ fossi sicur d’un fiordaliso,
ch’ella dicesse: - Con vertà ’l ti diei -
e no ch’i’ fosse dal mondo diviso!

*******************

IV - Oimè d'Amor, che m'è duce sì reo

Oimè d’Amor, che m’è duce sì reo,
oimè, che non potrebbe peggiorare;
oimè, perché m’avvene, segnor Deo?
oimè, ch’i’ amo quanto si pò amare,

oimè, colei che strugge lo cor meo!
Oimè, che non mi val mercé chiamare!
oimè, il su’ cor com’è tanto giudeo,
oimè, che udir non mi vol ricordare?

Oimè, quel punto maledetto sia,
oimè, ch’eo vidi lei cotanto bella,
oimè, ch’eo n’ho pure malinconia!

Oimè, che pare una rosa novella,
oimè, il su’ viso: dunque villania,
oimè, cotanto come corre ’n ella?

**********************

V - Egli è sì agro il disamorare

Egli è sì agro il disamorare
chi è ’nnamorato daddivero
che potrebb’anzi far del bianco nero
parer a quanti n’ha di qua da mare.

Ond’i’, perciò, non vi vo’ più pensare;
anzi, s’i’ ebbi mai volere intero
in trasamar, or vi sarò più fèro:
portila Dio come la vuol portare!

Ma non l’abbia, perciò, in grad’Amore;
s’i’potesse, disamorar vorria
più volontier, che farmi ’mperadore:

ché tutto ’l tempo de la vita mia
so stato de’ suo’ servi servidore:
ed e’ fammi pur mal, che Dio li dia!

**************************

VI - Quanto un granel di panico è minore

Quanto un granel di panico è minore
del maggior monte che abbia veduto;
e quanto è ‘l bon fiorin de l’or migliore
di qualunca denaro più minuto;

e quanto m’è più pessimo el dolore
ad averlo, e l’ho, ch’a averlo perduto:
cotant’è maggio la pena d’amore,
ched io non averei mai creduto.

Ed or la credo, però ch’io la provo
en tal guisa che, per l’anima mia,
di questo amor vorrìa ancor esser novo.

Ed ho en disamar quella bailìa
c’ha’ pulcinello ch’è dentro da l’ovo,
d’uscir ‘nnanzi ched el su’ tempo sia.

***********************

VII - Io poterei cosi star senz'amore

Io poterei cosi star senz’amore
come la soddomia tòllar a Moco,
o come Ciampolin gavazzatore
potesse vivar tollendoli ’l gioco,

o come Min di Pepo Accorridore
s’ardisse di toccar Tan pur un poco,
o come Migo, ch’è tutto d’errore,
ch’e’ non morisse di caldo di fuoco.

Però mi facci Amor ciò che li piace,
ch’i’ sarò sempre su’ servo fedele
e sofferrò ciò che mi farà ‘n pace;

e sed e’ fosse amaro più che fele,
con l’umiltà ch’è vertù sì verace,
il farò dolce come cannamele.

*******************

VIII - Quando veggio Becchina corrucciata

Quando veggio Becchina corrucciata.
se io avesse allor cuor di leone,
sì tremarei com’un picciol garzone
quando’l maestro gli vuol dar palmata.

L’anima mia vorrebbe esser non nata,
nanzi ch’aver cotale afflizìone;
e maledico el punto e la stagione
che tanta pena mi fu destinata.

Ma s’io devesse darmi a lo nemico,
e’ si convien che io pur trovi la via
che io non temi el suo corruccio un fico.

Però, s’e’ non bastasse, io mi morrìa;
ond’io non celo, anzi palese ’l dico,
ch’io provarò tutta mia valentìa.

***********************

IX - Io averò quell'ora un sol dì bene

Io averò quell’ora un sol dì bene,
ch’a Roma metterà neve d’agosto:
ma di dolor e d’angosce e di pene
son più fornito, ca ottobre del mosto.

E solamente questo mal mi vene,
per ch’io non posso aver un buon risposto
da quella che ’l mie cor più tristo tene,
che non fa quel, che ne l’inferno è posto.

A torto e a peccato mi vol male;
e così torni nostra guerra in pace
como di lei servir molto mi cale.

Così mi strugge stando contumace,
come ne l’acqua bollita fa ’l sale:
ch’io non n’ho peggio ancor, più li dispiace.

********************

X - La mia malinconia è tanta e tale

La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.

Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale;
che mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir ’n un punto di tutto ’l mie male,
sed ella pur: - I’ t’odio - mi dicesse.

Ma quest’è la risposta c’ho da lei:
ched ella non mi vol né mal né bene,
e ched i’ vad’a far li fatti mei;

ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,
men ch’una paglia che le va tra’ piei:
mal grado n’abbi Amor, ch’a le’ mi diène.

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