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Dino Campana: Vita&Opere
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MessaggioInviato: Mer Ott 11, 2006 4:15 pm    Oggetto:  Dino Campana: Vita&Opere
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Dino Campana: Vita&Opere

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Dino Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1 marzo 1932) è stato un famoso poeta italiano.

È noto, oltre che per la composizione di scritti letterari e poetici conosciuta sotto il nome di Canti Orfici, anche per la sua tempestosa relazione sentimentale con la scrittrice Sibilla Aleramo (liaison messa a nudo nell'epistolario intercorso tra il poeta e la poetessa). Il suo nome è stato spesso accostato a quello della corrente dei poeti maledetti.

La sua esistenza tormentata ed errabonda fu costellata da difficoltà ed egli conobbe le più tristi esperienze.

Indice [in questa pagina]:

1 Biografia
2 La "fuga"
3 Canti Orfici
4 La poetica
5 I temi fondamentali
6 L'interpretazione della poesia
7 Campana e Rimbaud
8 Dino Campana e l'arte

************

Biografia

Dino Campana era figlio di Giovanni, insegnante di scuola elementare, uomo per bene ma di carattere debole e nevrotico, e di Fanny Luti, donna compulsiva e severa, affetta da mania deambulatoria, attaccata in modo morboso al figlio Manlio, fratello minore di Dino, natole nel 1888.

Trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno a Marradi ma, a circa dodici anni di età, gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi che non gli impediranno comunque di frequentare i vari cicli di scuola.

Egli compie la quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza, poi gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli di Faenza, in parte a Carmagnola in Piemonte presso un altro collegio, ma quando rientra a Marradi, le crisi nervose si acutizzano come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia (soprattutto con la madre) e il paese.

Il futuro poeta a Carmagnola ottiene, se pur con difficoltà, la licenza liceale. Nel 1904 si iscrive presso l'Università di Bologna, alla Facoltà di chimica pura, per passare - l'anno seguente - alla Facoltà di chimica farmaceutica a Firenze, ma non riesce a portare a termine la sua carriera scolastica e ha difficoltà a trovare un ordine interiore e una sua vera identificazione. Il suo unico punto di riferimento è la poesia e alla poesia dedicherà e sacrificherà - tra esaltazione e disperata follia - i suoi giorni.

La "fuga"

Egli espresse la sua "diversità" con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri dove faceva i mestieri più disparati per sostenersi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il ricovero in manicomio.

Tra il maggio e il luglio del 1906, Campana compie una prima fuga in Svizzera e in Francia che si conclude con l'arresto a Bardonecchia e il ricovero ad Imola.

Nel 1907, i genitori di Campana non sanno più che fare di fronte alla follia del figlio e lo mandano in America Latina presso una famiglia di compaesani emigrati (forse dei parenti). Non si tratta di una "fuga" del poeta, che non avrebbe potuto ottenere da solo un passaporto per il Nuovo Mondo in quanto era già ritenuto ufficialmente "pazzo". È la sua famiglia a procurargli il passaporto e ad organizzargli il viaggio, e Dino parte per la paura di dover tornare in manicomio. I coniugi Campana sostengono di averlo mandato in America con la speranza che questo viaggio lo potesse guarire, ma sembra che il passaporto fosse valido solo per l'andata, per cui si trattò probabilmente (anche) di un tentativo di sbarazzarsi di lui, poiché la convivenza con Campana era ormai divenuta insopportabile per tutti.

Il viaggio in America rappresenta un punto particolarmente oscuro della biografia di Campana: se alcuni arrivano a chiamarlo "il poeta dei due mondi", c'è anche chi invece sostiene che, in America, Campana non ci andò neppure. Numerose sono anche le opinioni sulla datazione del viaggio e sulle modalità ed il tragitto del ritorno.

L'ipotesi più accreditata è che sia partito nell'autunno 1907 da Genova ed abbia vagabondato per l'Argentina fino alla primavera del 1909, quando ricompare a Marradi, dove viene arrestato. Dopo un breve internamento al San Salvi di Firenze, parte per un viaggio in Belgio, ma viene di nuovo arrestato a Bruxelles e viene poi internato nella "maison de santé" di Tournai all'inizio del 1910. Chiede aiuto alla sua famiglia e viene rimandato a Marradi.

Canti Orfici

Tra il 1912 e il 1913 Campana compone i versi che diventeranno poi (dopo alterne vicende e diverse riscritture) la sua opera più significativa: i "Canti Orfici", una raccolta che contiene un poema in due parti (La notte), sette poesie intitolate I notturni, una prosa diaristica su di un viaggio alla Verna e altre dieci fra poesie e prose liriche. Segue una sezione di Varie che comprendono due frammenti, sette prose liriche e (in sette parti) il poemetto Genova. (In quest'ulltima sezione fu inserita dopo la morte di Campana una lirica di Luisa Giaconi, poetessa che l'aveva molto colpito. Questo fu dovuto ad un errore di attribuzione dell'editore, cui Campana l'aveva entusiasticamente inviata, senza menzionare con chiarezza il nome dell'autrice. Dopo alcuni anni, la poesia è stata correttamente attribuita e tolta dai Canti orfici)

Nel 1913 si reca a Firenze presentandosi nella redazione della rivista "Lacerba" a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, cui consegna il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Non viene preso in considerazione e il manoscritto va perduto (sarà ritrovato solamente nel 1971 tra le carte di Soffici).

Riscrive i suoi testi, con modifiche e aggiunte, che pubblica nel 1914, a proprie spese, con il titolo, appunto, di "Canti Orfici". Il 1915 lo trascorre viaggiando senza una meta fissa: Torino, Domodossola, ancora Firenze.

Nel 1916 ricerca inutilmente un impiego. Scrive a Emilio Cecchi (che sarà, insieme a Giovanni Boine - che comprese subito l'importanza di Campana recensendo i Canti Orfici nel 1951 - e a Giuseppe De Robertis, uno dei suoi pochi estimatori) ed inizia con lo scrittore una breve corrispondenza. A Livorno si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, che scrive su di lui un articolo denigratorio sul giornale "Il Telegrafo": si arriva quasi al duello.

Nello stesso anno conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo Una donna ed inizia con lei una intensa e tumultuosa relazione, che si interromperà all'inizio del 1917 dopo un breve incontro nel Natale 1916 a Marradi.

Abbiamo testimonianza della relazione avvenuta tra Dino e Sibilla, da un tragico carteggio pubblicato da Feltrinelli nel 2000: Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918.

Il carteggio ha inizio con una lettera della Aleramo datata 10 giugno 1916, nel quale l'autrice esprime la sua ammirazione per i "Canti Orfici", dichiarando di esserne stata incantata e abbagliata insieme. Sibilla era allora in vacanza nella Villa La Topaia a Borgo San Lorenzo, mentre Campana era in una stazione climatica presso Firenzuola per rimettersi in salute dopo essere stato colpito da una leggera paresi al lato destro del corpo.

Nel 1918 viene internato presso l'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, presso Scandicci (Firenze). Lo psichiatra Carlo Pariani lo va a trovare per intervistarlo. Nel 1938 la casa editrice Vallecchi pubblicherà "Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore".

Dino Campana muore, sembra per una forma di setticemia dovuta ad una malattia mai ben chiarita, il primo Marzo del 1932.

La poetica

La poesia di Campana è una poesia nuova nella quale si amalgano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori. Il verso è indefinito, l'articolazione espressiva in un certo senso monotona ma nel contempo ricca di immagini molto forti di annientamento e purezza. Il titolo allude agli inni orfici, genere letterario attestato nell'antica Grecia tra il II e il III secolo d.C. e caratterizzato da una diversa teogonia rispetto a quella classica. Inoltre le preghiere agli dei (in particolare al dio Protogono) sono caratterizzate dagli scongiuri dal male e dalle sciagure.

I temi fondamentali

Uno dei temi maggiori di Campana, che si trova già all'inizio dei "Canti Orfici" nelle prime parti in prosa - La notte e Il viaggio e il ritorno - è quello dell'oscurità tra il sogno e la veglia. Gli aggettivi e gli avverbi ritornano con una ripetitiva insistenza come di chi detta durante un sogno, sogno però interrotto da forti trasalimenti (si veda la poesia "l'invetriata", mirabile spleen baudelairiano).

Nella seconda parte - nel notturno di "Genova", ritornano tutti i miti fondamentali che saranno del Campana successivo: le città portuali, la matrona barbarica, le enormi prostitute, le pianure ventose, la schiava adolescente.

Già nella prosa si nota l'uso dell'iterazione, l'uso drammatico dei superlativi, l'effetto d'eco nelle preposizioni, il ricorrere alle parole chiave che creano una forte scenografia.

L'interpretazione della poesia

Nel quindicennio che va dalla sua morte alla fine della seconda guerra mondiale (1932-1945) ed anche in seguito, nel periodo dell'espressionismo e del futurismo, l'interpretazione della poesia di Campana si focalizza sullo spessore della parola apparentemente incontrollata, nascosta in una zona psichica di allucinazione e di rovina.

Nei suoi versi, dove vi sono elementi deboli di controllo e di approssimativa scrittura, si avverte - a parere di molti critici - il vitalismo delle avanguardie del primo decennio del XX secolo; dai suoi versi, per la verità, hanno attinto poeti molto differenti tra di loro, come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto.

Campana e Rimbaud

Il destino di Campana è stato avvicinato a quello di Rimbaud. Ma, in verità, tra Campana e il poeta maledetto il punto di contatto (il bisogno di fuggire, l'idea del viaggio, l'abbandono di un mondo civile estraneo) è affrontato in modo molto diverso. Dove Rimbaud abbandona la letteratura per fuggire in Africa e prestarsi a mestieri poco onesti come il commerciante d'armi, Campana alla fine dei suoi viaggi senza una vera meta trova solamente la follia.

E se Rimbaud aveva fatto una scelta, Campana non scelse ma fu sopraffatto dagli eventi che attraversarono la sua vita diventandone una vittima: senza però mai disertare la poesia, come, differentemente, aveva fatto il poeta francese. Campana, fino al suo internamento a Castel Pulci, lotterà per la sua poesia e per una vita che non era mai riuscita a donargli nulla in termini di serenità e pace; e anche la strada dell'amore, il suo incontro con Sibilla Aleramo, si trasformerà in una sconfitta.

Come scrive Carlo Bo nel saggio "La nuova poesia: Storia della letteratura italiana - il Novecento" (Garzanti, 2001):

« ... il destino così doloroso di Dino Campana risponde precisamente ad un problema sollevato dal giovane Victor Hugo, verso il 1834. La domanda di questo allora quasi sconosciuto Hugo era: "Jusqu'à quel point le chant appartient à la voix, et la poésie au poète?". Domanda di una inesauribile novità e contro cui nulla hanno potuto le innumerevoli esperienze poetiche in più di un secolo, anzi direi che rimane confermata dalle maggiori audacie degli esempi più usati: l'autorizzano Baudelaire, Rimbaud e la storia dei surrealisti. Noi sappiamo i nomi che mancano, quello di Dino Campana va fatto senza timore. »

Eugenio Montale fu tra i primi estimatori ufficiali, il più autorevole ad oggi, delle composizioni di Dino Campana, tanto da dedicargli una poesia o meglio un omaggio a chi meglio di lui aveva saputo piegare le parole fino a renderle ancora più oscure.

Sebbene i canti di Dino Campana affondano ben oltre il simbolismo francese, fatto di audaci freddi e monotoni alessandrini, direttamente nelle radici della nostra terra toscana, Campana guarda al Trecento dantesco, al Cavalcanti al Dante della commedia fino ad arrivare ai canti del Foscolo (Giacomo Leopardi ancora non era stato molto diffuso), ed è toccante l'allusione dantesca con cui Eugenio Montale chiude questa struggente lirica di stampo prettamente biografico (di Dino Campana si evitava di citare per motivi piccoli borghesi la sua vita e i suoi amori travagliati nonché il suo pacifismo antinterventista) e proprio per questo ancor più provocatoria: "fino a quando riverso a terra cadde!".

Dino Campana e l'arte

La critica ha spesso indagato e continua ad interrogarsi su quanto vi è di figurativo nell'opera del poeta di Marradi, conosciuto dall'immaginario come il poeta folle e visionario.

Nel 1937 Gianfranco Contini scriveva: «Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa».

Nei Canti Orfici sussistono infatti elementi sia visivi che visionari con numerosi riferimenti alla pittura. Analizzando la funzione che questi aspetti hanno all'interno dell'opera si nota con evidenza come al lato visionario, con riferimento a Leonardo, a De Chirico e all'arte toscana, sia affiancato in perfetta coesione quello visivo che trova le sue allusioni nel futurismo.

Pasolini, che aveva riletto con molta attenzione l'opera di Campana, aveva scritto: «Particolarmente precisa era la sua cultura pittorica: gli apporti nella sua lingua del gusto cubista e di quello del futurismo figurativo sono impeccabili. Alcune sue brevi poesie-nature morte sono tra le più riuscite e se sono alla "manière de" lo sono con un gusto critico di alta qualità».

A proposito poi delle conoscenze leonardesche dell'autore si può leggere, in una lettera del 12 maggio 1914 scritta da Campana a Soffici da Ginevra «Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicoanalisi sessuale di Segantini, Leonardo e altri che contengono cose in Italia inaudite: potrei fargliene un riassunto per Lacerba».

*************

(Biografia tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera:
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MessaggioInviato: Gio Mag 10, 2007 6:03 pm    Oggetto:  Dino Campana: Opere.
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Dino Campana: Opere.

-Poesia e varie:

-Canti Orfici , Marradi, 1914
-Inediti, raccolti a cura di E. Falqui, Firenze, 1942
-Taccuino, a cura di F. Matacotta, Fermo 1949
-Taccuinetto faentino, a cura di D. De Robertis, prefazione di E.Falqui, Firenze, 1952
-Fascicolo marradese, a cura di F. Ravigli, Firenze, 1952
-Il più lungo giorno, Roma-Firenze, 1973, 2 voll. vol.I: riproduzione anastatica del manoscritto ritrovato dei "Canti orfici"; vol. II: prefazione di E. Falqui, testo critico a cura di D. Robertis

-Epistolari:

-Dino Campana - Sibilla Aleramo, Lettere, a cura di N. Gallo, prefazione di M.Luzi, Firenze, 1958
-Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di G. Cacho Miller, Milano, 1978
-Souvenir d'un pendu. Carteggio 1910-1931, a cura di G. Cacho Miller, Napoli, 1985
-Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918, Sibilla Aleramo, Dino Campana, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000. Da questo carteggio è stato tratto il film Un viaggio chiamato amore (film) (di Michele Placido, 2002) con Stefano Accorsi nel ruolo di Campana e Laura Morante nel ruolo di Sibilla Aleramo.
-Raccolgono la parte essenziale dell'Opera campaniana a prescindere da "Il più lungo giorno") i due volumi di "Opere e contributi", a cura di E. Falqui, prefazione di M. Luzi, note di D. De Robertis e S. Ramat, carteggio a cura di N. Gallo, Firenze, 1973.
-L'edizione recente dei "Canti Orfici", con il commento di F. Ceragioli, Firenze, 1985, oltre che per il restauro del testo originario di Marradi 1914, si segnala per il tentativo (inconsueto per opere novecentesche) di un commentario perpetuo, con "cappelli" introduttivi ai singoli testi e note a piè di pagina.
-Un'ottima Bibliografia campaniana (1914-1985) è curata da A. Corsaro e M. Verdenelli, Ravenna, 1986
-Il ritrovamento del manoscritto de "Il più lungo giorno" tra le carte di Soffici fu annunciato sul Corriere della sera del 17 giugno 1971 e ha consentito nuove forme di indagini sul complesso degli scritti campaniani
-Dal sito dedicato a Dino Campana il collegamento alla Biblioteca Marucelliana, per sfogliare in diretta il Manoscritto
-Alla vita di Dino Campana è dedicato il romanzo La notte della cometa di Sebastiano Vassalli (1990), alla cui stesura l'autore dedicò 14 anni di ricerche e di lavoro. Si tratta di una biografia romanzata.

*******************

La petite promenade du poète

Me ne vado per le strade
strette oscure e misteriose
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose.

Dalle scale misteriose
c'è chi scende brancolando
dietro i vetri rilucenti
stan le ciane commentando.

La stradina è solitaria
non c'è un cane; qualche stella
nella notte sopra i tetti:
e la notte mi par bella.

E cammino poveretto
nella notte fantasiosa
pur mi sento nella bocca
la saliva disgustosa.

Via dal tanfo
via dal tanfo e per le strade
e cammina e via cammina,
già le case son più rade.

Trovo l'erba: mi ci stendo
a conciarmi come un cane...

Da lontano un ubriaco
canta amore alle persiane.

*****************

La Chimera

La Chimera è la poesia d'apertura di quella serie di componimenti chiamati “Notturni” che appartengono ai Canti Orfici di Dino Campana.

"Non so se tra roccie il tuo pallido/Viso m’apparve, o sorriso/Di lontananze ignote/Fosti, la china eburnea/Fronte fulgente o giovine/Suora de la Gioconda/O delle primavere Spente, per i tuoi mitici pallori/O Regina o Regina adolescente:/Ma per il tuo ignoto poema/Di voluttà e di dolore/Musica fanciulla esangue,/Segnato di linea di sangue/Nel cerchio delle labbra sinuose,/Regina de la melodia:/Ma per il vergine capo/Reclino, io poeta notturno/Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,/Io per il tuo dolce mistero Io per il tuo divenir taciturno./ Non so se la fiamma pallida/ Fu dei capelli il vivente Segno del suo pallore,/Non so se fu un dolce vapore,/Dolce sul mio dolore, Sorriso di un volto notturno:/Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti/E l’immobilità dei firmamenti/E i gonfii rivi che vanno piangenti/E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti/E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera."

(Dino Campana, La chimera, da Canti Orfici)

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MessaggioInviato: Mer Set 05, 2007 4:47 pm    Oggetto:  Dino Campana: Canti Orfici.
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Dino Campana: Canti Orfici.

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Copertina dei Canti Orfici (1914).

Canti Orfici è una raccolta di componimenti letterari in prosimetro di Dino Campana.

Fu composta nel 1913 in una prima stesura che portava il titolo Il più lungo giorno e fu consegnata per la pubblicazione a Giovanni Papini e a Ardengo Soffici.

Per lungo tempo l'autografo si considerò perduto. Fu ritrovata solamente nel 1971 tra le carte di Soffici.

Indice [in questa pagina]:

1 Storia di un manoscritto
1.1 Il manoscritto perduto (1913)
1.2 La prima edizione (1914)
1.3 La seconda edizione (1928)
1.4 Altre edizioni (dal 1941 ad oggi)
2 Struttura dei Canti Orfici
2.1 Titolo
2.2 Sottotitolo e dedica
2.3 I testi
2.4 Il "colophon"
3 Tematiche
3.1 Il viaggio
3.2 La notte
4 Nuovi linguaggi
4.1 La poesia di Campana e il linguaggio cinematografico
5 Dal testo allo schermo
6 Fonti autografe
7 Bibliografia

**************

Storia di un manoscritto

Nell'anno accademico 1912-1913 Campana aveva incominciato a scrivere su alcuni modesti fogli goliardici bolognesi alcuni pezzi – Montagna, La Chimera, La cafard (Nostalgia del viaggio), Dualismo - Ricordi di un vagabondo. Lettera aperta a Manuela Tchegarray sulla rivista "Il Papiro", Torre rossa e Scorcio, su "Il Goliardo" – che in seguito rielaborati entreranno a far parte dei "Canti Orfici".

Ma nel 1913, messo insieme un manoscritto piuttosto consistente che, come si seppe molti anni dopo, aveva intitolato Il più lungo giorno, pensò di rivolgersi a chi dirigeva in quel periodo la rivista letteraria "Lacerba", consegnando ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini la prima stesura originale del suo manoscritto.

Il manoscritto perduto (1913)

Secondo la ricostruzione dello stesso Campana: "venuto l'inverno andavo a Firenze al Lacerba a trovare Papini che conoscevo di nome. Lui si fece dare il mio manoscritto (non avevo che quello) e me lo restituì il giorno dopo e in un caffè mi disse che non era tutto quello che si aspettava ma che era 'molto molto' bene e mi invitò alle Giubbe rosse per la sera... per tre o quattro giorni andò avanti poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo, che l'avrebbe stampato. Ma non lo stampò. Io partii non avendo più soldi (dormivo all'asilo notturno ed era il giorno che facevano le puttane sul palcoscenico alla serata futurista incassando cinque o seimila lire) e poi seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria...".

Il manoscritto andò perso e vide la stampa solo nel 1973 dopo essere stato ritrovato, nel 1971, tra le carte di Soffici.
Senza dubbio il colpo fu forte per il giovane che però reagì con vitalità e, in poco tempo, rimise insieme la raccolta perduta apportandovi numerose modifiche.

La prima edizione (1914)

Riscritti o ricostruiti servendosi sia della memoria e certamente dagli appunti rimastigli, i versi e le prose di quel manoscritto videro la luce nell'edizione Ravagliati nel giugno del 1914 con il titolo Canti Orfici e il sottotitolo in tedesco "Die Tragödie des letzten Germanen in Italien", e con la dedica "A Guglielmo II imperatore dei germani l'autore dedica", dedica che l'autore poi strappò personalmente da tutte le copie di cui riusciva a entrare in possesso.

Questa prima stampa ebbe notevoli difficoltà, nessun successo e il poeta stesso andava a vendere copie del libro nei caffè di Firenze e di Bologna oppure agli amici tramite sottoscrizione.

La seconda edizione (1928)

Nel 1928 l'editore Vallecchi pensò ad una ristampa dei Canti Orfici, senza nemmeno chiedere il permesso a Campana che in quel periodo era ricoverato in manicomio, e affidò la cura del progetto ad un giornalista e letterato, Bino Binazzi.

Il libro venne pubblicato con il titolo Canti Orfici ed altre liriche e comprendeva, oltre i testi presenti nell'edizione del '14, alcune liriche del Campana apparse tra l'agosto del 1915 e il marzo 1917 su vari giornali e riviste.

Il Binazzi ne invia una copia a Dino Campana che dopo averlo ringraziato (lettera a Bino Binazzi dell'11 aprile 1930) aggiunge: "A Marradi presso l'editore Ravagli si devono trovare ancora almeno cinquecento copie ne la lezione originale: la Vallecchi varia qua e là non so perché: poco importa giacché è un compenso dovuto a la modernità de l'edizione senza dubbio. Rimasugli di versi, strofe canticchiate se ne potrebbe riempire un quadernetto. Ma che farne. Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili: variante vallecchiana. Passo lunghe ore pensando a la vanità del tutto". Frasi queste che fanno pensare e lasciano ancora aperte molte questioni sia sulla malattia mentale di Campana, sia sul manoscritto.

Altre edizioni (dal 1941 ad oggi)

Enrico Falqui nel 1941 ristampa i "Canti Orfici" riportandoli alla versione di Marradi e nel 1942 pubblica un volume a parte di inediti che rivela materiale ricchissimo, tra appunti e rielaborazioni, che nessuno sospettava.

Nel 1949, a cura di Franco Matacotta, apparve un Taccuino che conteneva tutto il materiale che era in possesso di Sibilla Aleramo e nel 1960 un Taccuinetto faentino a cura di Domenico De Robertis con la presentazione di Enrico Falqui e nel 1972 il "Fascicolo marradese "a cura di Federico Ravagli che raccoglieva altri testi manoscritti ritrovati nella casa della famiglia Campana a Marradi.

Nel 1973 vengono pubblicati i due volumi Opere e contributi, a cura di Enrico Falqui con la presentazione di Mario Luzi, le note di Domenico De Robertis e Silvio Ramat arricchiti dal carteggio con Sibilla Aleramo.

Nel frattempo era stato ritrovato il manoscritto affidato da Campana a Papini e Soffici e in seguito perduto.
La notizia del ritrovamento veniva data da Mario Luzi il 17 giugno 1971 sul Corriere della Sera in un articolo dal titolo: "Un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici. Il quaderno di Dino Campana".

Infatti era accaduto che nel riordinare le carte di Soffici, morto nel 1964 era riapparso il manoscritto di Dino Campana.

Struttura dei Canti Orfici

Il libro di Campana si alterna tra la prosa e i versi ad imitare Rimbaud e Baudelaire che erano stati i precursori nel creare un rapporto tra i due codici linguistici in una stessa opera unitaria.

Il libro appare con una struttura ben precisa composta da: 1) titolo; 2) sottotitolo e dedica; 3) testi; 4) il colophon con cui si chiude il testo.

Titolo

Canti Orfici sostituisce il titolo precedente,Il più lungo giorno, che era una citazione di un passo del Il ritorno compreso nella terza parte del poemetto in prosa «La notte»:

«E si raccoglie la mia anima - e volta al più lungo giorno de l'amore antico ancora leva chiaro un canto a l'amore notturno»

(La notte - Passo che nei Canti Orfici è poi scomparso.)

Per quanto riguarda la parola orfismo, Campana si rifà, probabilmente, al capitolo Orphée (Les mystères de Dyonysos) dei Grands initiés, Esquisse de l'histoire secrète des religions, di Edouard Shuré che in quei tempi si trovava in numerose edizioni francesi ed era alla portata di un vasto pubblico.

Ma con il termine "orfico" Campana poteva anche fare riferimento, come osserva Alberto Asor Rosa, ad Orfeo, il poeta delle origini quale si immagina di essere Campana stesso in contrapposizione al clima "sfatto" della poesia del suo tempo.

Vi è poi nel contenuto del mistero un atteggiamento orfico, così come c'è nel comunicarlo. L'orfismo è un culto iniziatico e Campana pensa ad una poesia votata al sacrificio di comprensione di pochi eletti.

Sottotitolo e dedica

Sotto il titolo Canti Orfici vi è scritto "Die Tragödie des letzen Germanen in Italien" (La tragedia dell'ultimo Germano in Italia" e sulla pagina seguente la dedica:" A Guglielmo Imperatore dei Germani l'autore dedica".

Siamo alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale e la scelta di questa dedica, in un clima che si stava facendo sempre più rovente, sembra, a dir poco, inopportuna.

In realtà il poeta dà la spiegazione di questa scelta in una lettera del marzo 1916 indirizzata a Emilio Cecchi:" Ora io dissi die tragödie des lezten germanen in Italien mostrando di aver nel libro conservato la purezza del germano (ideale non reale) che è stata la causa della loro morte in Italia. Ma io dicevo ciò in senso imperialistico e idealistico, non naturalistico. (Cercavo idealmente una patria non avendone). Il germano preso come rappresentante del tipo normale (Dante Leopardi Segantini)".

É chiaro quindi che Campana aveva in mente la parola "germano" come sinonimo di "purezza" e quindi lo aveva usato come aggettivo positivo per evidenziare una differenza.

La dedica che segue è pertanto la conseguenza logica di quanto affermava e il poeta rende omaggio al "proprio" sovrano.

Non è vero quanto la leggenda è andata affermando e cioè che in seguito Campana volesse eliminare quelle pagine così pericolose. Si sa da una lettera a Mario Novaro, che risale a prima del maggio 1916, che il poeta voleva che l'appellativo germanico rimanesse: "La condizione della stampa è che non sia omesso: Poeta germanicus". Per quanto poi riguarda la parola "Tragedia" non vuol dire altro che il poeta si sentiva in una posizione tragica e, nel sottotitolo, egli anticipa quanto di sofferto autobiografico ci sarà nel testo.

I testi

Nel mettere a confronto il manoscritto del Più lungo giorno e il volume dei Canti Orfici si comprende che siamo di fronte ad un solo libro, i Canti orfici, del quale Il più lungo giorno è solamente un insieme di testi senza un progetto preciso.

"Il più lungo giorno" è costituito da diciotto componimenti poetici, cinque in prosa, o misti di prosa e versi, e tredici in versi.
I Canti Orfici sono costituiti da ventinove componimenti di cui quindici già presenti nella precedente stesura e quattordici nuovi tra cui dieci in prosa che servono a riequilibrare il testo: quindici componimenti in versi e quattordici in prosa, con l'evidente intento di evidenziare un percorso.

Il "colophon"

In fondo al volume Campana inserisce in forma di colophon una versione modificata di un verso di Walt Whitman tratta da Song of Myself:

They were all torn
and cover'd with
the boy's
blood


(L' originale verso di Whitman diceva invece : "The three were all torn and cover'd with the boy's blood").

Quanto sia importante per Campana questa chiusura lo si può comprendere da quanto il poeta stesso scrive ad Emilio Cecchi nel marzo del 1916: "Se vivo o morto lui si occuperà ancora di me la prego di non dimenticare le ultime parole che sono le uniche importanti del libro. La citazione è di Walt Withman che adoro nel Song of myself quando parla della cattura del flour of the race of rangers".

Campana quindi si identifica con i giovani massacrati a tradimento della poesia di Whithman.

Così, tra la "tragedia" del sottotitolo e questa conclusione esiste un legame non solo autobiografico, ma anche filosofico e cosmico.

Curiosità : Questa stessa scritta, con cui Campana chiude i suoi Canti Orfici, si può incontrare all interno del videogioco Blood.

Tematiche

-Il viaggio: il tema centrale dell'opera di Campana è quello del viaggio, onirico o reale, lontano (la pampa argentina) o vicino (i luoghi ricorrenti sono Faenza, Firenze, Genova e Bologna).

Campana, influenzato da D'Annunzio, prende da lui, nei momenti peggiori, l'enfasi e si affida alla suggestione retorica, pronto a trasformare gli elementi autobiografici in una vicenda romantica affidati a un cromatismo insistente con un io che domina la scena:

«Nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle voci angeliche bronzee è piena la cella bianca»

(Sogno di prigione.)

Nei momenti in cui Campana riesce a scrivere con un certo distacco e controllo, nasce una grande capacità di ritrarre il paesaggio con uno stile espressionistico dove affiorano i ricordi e le letture: Quote|Laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna. O donna sognata, donna adorata, donna forte, profilo nobilitato di un ricordo di immobilità bizantina, in linee dolci e potenti testa nobile e mitica dorata dell'enigma delle sfingi| La Verna.

Così, in questo itinerario di viaggio, appaiono dalla memoria città fantastiche:

«Noi vedemmo sorgere nella luce incantata/Una bianca città addormentata/Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti/Nel soffio torbido dell'equatore»

( Viaggio a Montevideo)

Questi ricordi sono rivissuti in una vertigine che deforma le cose ma non le cancella:

«Ero sul treno in corsa:disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo:incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa»

(Pampa)

Alle volte Campana si sofferma a descrivere con un "barocchismo crepuscolare" che trasforma gli elementi del paesaggio in emozioni e fa scivolare le parole leggere:

«Crepuscolo mediterraneo perpetuato di voci che nella sera si esaltano, di lampade che si accendono,chi t'inscenò nel cielo più vasta più ardente del sole notturna estate mediterranea? Chi può dirsi felice che non vide le tue piazze felici, i vichi dove ancora in alto battaglia glorioso il lungo giorno in fantasmi d'oro?»

(Crepuscolo mediterraneo)

La notte

"Chi le taciturne porte/guarda che la Notte/ ha aperte sull'infinito?" (La speranza sul torrente notturno)

Per Campana la notte è la protagonista di ogni forma di esistenza ed è nella notte che ogni mistero si celebra o si chiarisce.
Elementi notturni li troviamo in molti versi della raccolta, da Firenze a Dualismo, da La giornata di un nevrastenico alla Pampa, da La chimera a Sogno di un prigioniero, dal Canto delle tenebre a Genova.

Nuovi linguaggi

Tra i poeti del Novecento italiano, Campana è colui che ha cercato di incorporare nella sua poesia tutti gli effetti dei nuovi mezzi di tecnica e di produzione.

Oltre alla passione che il poeta dimostrò verso l'elettricità, vista come simbolo del nuovo mondo ma facilmente ricollegabile a quello antico,un posto importante va assegnato ai rapporti tra la poesia di Campana e il nuovo linguaggio cinematografico.

La poesia di Campana e il linguaggio cinematografico

Il più lungo giorno recava come sottotitolo: La notte mistica dell'amore e del dolore - Scorci bizantini e morti cinematografiche e una precedente versione riportava semplicemente: Cinematografia sentimentale.

Molti sono i passi dei Canti Orfici che rivelando ritmi e dinamismi, uso dei |primi piani, scorciature e salti temporali, che denotano una appassionata conoscenza del nuovo mezzo.

Nel passo La notte ritroviamo la semplice e pura riproduzione di una proiezione cinematografica della quale Campana coglie il valore straniante dello spettacolo cinematografico al confronto della realtà.
C'è una fiera e il poeta accompagna la donna amata in una sala cinematografica del tempo:

«Fu attratta verso la baracca: la sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò nella luce diffusa, ed io seguii il suo pallore segnato sulla fronte della frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di autocrati, rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa, si volsero verso di noi, profondamente limpidi nella luce. E guardammo le vedute. Tutto era di un'irrealtà spettrale. C'erano dei panorami scheletrici di città. Dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose lagnose. Una odalisca di gomma respirava sommessamente e volgeva attorno gli occhi d'idolo. E l'odore acuto della segatura che felpava i passi e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero. "É così Parigi? Ecco Londra. La battaglia di Muckden". Noi guardavamo intorno: doveva essere tardi. Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti in quella luce di sogno! Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva sotto la frangia notturna dei suoi capelli. Si mosse. Ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino. La seguii dunque come si segue un sogno che si ama vano: così eravamo divenuti a un tratto lontani e stranieri dopo lo strepitoso della festa, davanti al panorama scheletrici del mondo»

(Dino Campana da Canti Orfici.)

Dal testo allo schermo

Nel 1999, con il titolo Il più lungo giorno, è stato realizzato un film sulla vita del poeta diretto e sceneggiato da Roberto Riviello; interpreti Gianni Cavina, Roberto Nobile, Giuseppe Battiston.

Nel 2000, con il titolo "Un viaggio chiamato amore", è stato realizzato un film sulla storia sentimentale tra la poetessa Sibilla Aleramo e il poeta marradese Dino Campana (1916 -1918). Regia cinematografica di Michele Placido; interpreti: Laura Morante, Stefano Accorsi, Alessandro Haber.

Fonti autografe

-Nella Biblioteca Marucelliana di Firenze è conservato il manoscritto de "Il più lungo giorno" e dal dal 20 marzo 2005 esso è a disposizione degli studiosi.

-A deciderlo è stato l'ultimo proprietario, l'Ente di Risparmio di Firenze, che nel 2004 lo aveva acquistato per 175.000 € a un'asta di Christie's (James Christie inaugurò la sua prima sala di aste il 5 dicembre del 1766 a Londra).

-Nella stessa Biblioteca Marucelliana sono conservati i fondi autografi di molti autori fiorentini contemporanei a Campana, tra i quali quelli di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici e Bruno Cicognari.

Bibliografia - Opere [Poesia e varie]:

-Canti Orfici, Marradi, 1914
-Inediti, raccolti a cura di E.falqui, Firenze, 1942
-Taccuino, a cura di F.Matacotta, Fermo 1949
-Taccuinetto faentino, a cura di D.De Robertis, prefazione di E.Falqui, Firenze, 1952
-Fascicolo marradese, a cura di F.Ravigli, Firenze, 1952
-Il più lungo giorno, Roma-Firenze, 1973, 2 voll. vol.I: riproduzione anastatica del manoscritto ritrovato dei "Canti orfici"; vol. II: prefazione di E.Falqui, testo critico a cura di D.Robertis

-Epistolari:

-Dino Campana - Sibilla Aleramo, Lettere, a cura di N.Gallo, prefazione di M.Luzi, Firenze, 1958
-Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di G.Cacho Miller, Milano, 1978
-Souvenir d'un pendu. Carteggio 1910-1931, a cura di G.Cacho Miller, Napoli, 1985
-Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918, Sibilla Aleramo, Dino Campana, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000
-Raccolgono la parte essenziale dell'0pera campaniana a prescindere da "Il più lungo giorno") i due volumi di "Opere e contributi", a cura di E.Falqui, prefazione di Mario Luzi, note di D.De Robertis e S.Ramat, carteggio a cura di N.Gallo, Firenze, 1973
-L'edizione recente dei "Canti Orfici", con il commento di F.Ceragioli, Firenze, 1985, oltre che per il restauro del testo originario di Marradi 1914, si segnala per il tentativo (inconsueto per opere novecentesche) di un commentario perpetuo, con "cappelli" introduttivi ai singoli testi e note a piè di pagina
-Un'ottima bibliografia campaniana (1914-1985) è curata da A.Corsaro e M.Verderelli
-Il ritrovamento del manoscritto de "Il più lungo giorno" tra le carte di Soffici fu annunciato sul Corriere della sera del 17 giugno 1971 e ha consentito nuove forme di indagini sul complesso degli scritti campaniani
-Alla vita di Dino Campana è dedicato il libro La notte della cometa di Sebastiano Vassalli (1990), alla cui stesura l'autore dedicò 14 anni di ricerche e di lavoro
-È uscito nel febbraio del 2005 una nuova edizione de "Il più lungo giorno" in una edizione critica a cura di Stefano Giovannuzzi nelle Edizioni Le Cariti con l'obiettivo, come dice lo stesso curatore, di "promuovere una ricerca sulle matrici culturali di Campana, i suoi rapporti con i suoi contemporanei e con l'ambiente fiorentino".

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