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Sito Letterario & Laboratorio di Scrittura Creativa di Monia Di Biagio.

"Scritturalia" è la terra delle parole in movimento, il luogo degli animi cantori che hanno voglia di dire: qui potremo scrivere, esprimerci e divulgare i nostri pensieri! Oh, Visitatore di passaggio, se sin qui sei giunto, iscriviti ora, Carpe Diem!

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Il Diario di Franco Masini (franco123)
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Monia Di Biagio

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MessaggioInviato: Gio Dic 14, 2006 2:25 pm    Oggetto:  Il Diario di Franco Masini (franco123)
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Il Mio Viaggio in Antartide

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“Benemerenza: il capitano Franco Masini, mentre riceve la targa ricordo, offerta dell'Ente Provinciale per il Turismo di Avellino, l’ 11 gennaio 2003: subito dopo aver raccontato ai presenti del suo viaggio in Antartide. Una spedizione nei freddi mari del Polo Sud alla ricerca di Atlantide. Una storia ricca di avvenimenti e tensioni, che hanno determinato la permanenza in mare, nel lontano 1978 per ben tre mesi, di un equipaggio di sei persone alla ricerca del continente perduto.”

*************

"Antartide? Perché no! Un viaggio da raccontare."

Articolo a cura di Carlo Crescitelli - Oltrefrontiera sede di Avellino

"Affiora dal ghiaccio e dalle brume con i suoi profili da fiaba, emersa d'un tratto dal nulla di freddo e di nebbia ove giace persa e dimenticata dall'alba del tempo: è l'Antartide del capitano Franco Masini... un classico luogo della memoria più che dell'atlante, un regno incantato e selvaggio dove protagonisti, comprimari e comparse dell'avventuroso e periglioso viaggio vengono però a poco a poco alla ribalta come fossero consumati attori di avanspettacolo, e pian piano, con il progredire del cammino, tutto sembra diventare lecito, finanche le gags più improbabili... è un piccolo mondo senza tempo come quelli delle favole, spiritosamente affollato da diplomatici furfanti, albatri infuriati, militari arcigni, pinguini timidi, gauchos fanfaroni, leoni marini maleodoranti, scienziati imbranati, balene preistoriche, miraggi polari e vestigia di antiche civiltà dimenticate, nel quale i nostri eroi si "barcamenano"(è proprio la parola adatta, visto lo sgangherato canotto che li traghetta ai confini delle terre conosciute) tra incendi, fermi di polizia, inganni vari, bufere di neve, furti e naufragi, tentando di riportare a casa la pellaccia a conclusione della loro ben strana spedizione non si capisce mai bene organizzata da chi o per che cosa. La geografia ed i paesaggi estremi si confondono con le boutades e le rogne quotidiane, i dettagli scientifici con gli squallidi intoppi e i contrattempi quotidiani, mischiati tutti insieme in un racconto che, insieme a qualche licenza ed a qualche buco di realismo, comunica bene però tutta la magia del viaggio e l'inquietudine del viaggiatore, la voglia e l'ansia di arrivare e il desiderio di annullarsi al raggiungimento della meta agognata, l'eccitazione e le aspettative della partenza e la mestizia del rientro, la determinazione ciarliera di raccontare la propria storia e l'intera storia del mondo, degli uomini e delle miserie umane commentando con un sorriso i tanti episodi di vita lì vissuti e qui riproposti a mò di insegnamento etico spicciolo. E alla fine ognuno a chiedersi e a chiedere all'altro: ma le avranno compiute poi davvero, tutte quelle imprese da guinness dei primati? Li avranno sfidati davvero, i limiti della resistenza umana? Certo, ci sono le diapositive a documentarlo, ma... ma che cosa poi documentano in realtà le diapositive di tanto mirabolante, se non ripensi alle meraviglie raccontate? E soprattutto: ma sarà poi così importante quello che è successo davvero, ma a chi gliene importa fin dove e come e perchè ci saranno realmente arrivati, quando sei rimasto a bocca aperta vivendo con loro la più bella, magnifica, affascinante e rischiosa avventura che riesci ad immaginare?"

-LEGGILO SUL NOSTRO "REPORTAGE DI VIAGGIO", QUI:
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Ultima modifica di Monia Di Biagio il Gio Ago 23, 2007 1:19 pm, modificato 4 volte in totale
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MessaggioInviato: Gio Dic 14, 2006 2:25 pm    Oggetto: Adv






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MessaggioInviato: Gio Dic 14, 2006 2:29 pm    Oggetto:  Il Diario di Franco (franco123)
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Franco Masini (alias “Franco123”, su Scritturalia) scrive e ci dice di sé:

Citazione:
sono partito troppo presto da casa (avevo appena, 17 anni) e per andare dove? In mare e non proprio per necessità, bensì proprio per uno strano spirito di indipendenza dalla mia famiglia. Fu così che intrapresi la carriera di Uff.le di Marina mercantile e navigai in tutti i mari del mondo…Da Capitano però, badando con maggiore cura alle sofferenze di una umanità abbandonata, spesso dimenticata (i marinai), coloro che erano sotto di me e come me allora erano, per infiniti periodi lontani dalla famiglia, dai propri cari.

Poi finalmente, tornai anch’io a terra dove sinceramente e fortemente avrei voluto fondare una mia famiglia, ma purtroppo nel frattempo era scoppiato il famigerato ’68, quindi in quel preciso momento, non se ne parlava nemmeno.

Così, invece di metter su famiglia, indipendente come sempre, mi recai a Milano dove mi occupai di moltissime cose, giornalista/pubblcista nautico, CTU consulente tecnico d'ufficio del tribunale di Milano e poi la scuola nautica dove per 20 anni, in una sorta di missione, appassionai al mare moltissimi giovani studenti milanesi.

Non mancarono le avventure (Milano mi andava stretta!) e così eccomi in Antartide (siamo nel 1978) a bordo di un gommone, "il Platone", alla ricerca delle tracce di "Atlantide", racconti questi del “Viaggio in Antartide”, anche riportati e pubblicati sul sito Scritturalia, di Monia Di Biagio, in una sorta di mio personale “Diario di Bordo”, contenuto appunto nella sezione “Il Diario”, ove racconto di quella spedizione, nei freddi mari del Polo Sud, alla ricerca di Atlantide. Una storia ricca di avvenimenti e tensioni, che hanno determinato la permanenza in mare, nel lontano 1978 per ben tre mesi, di un equipaggio di sei persone alla ricerca del continente perduto.

Fu dopo questa straordinaria avventura che ebbi in premio di poter lavorare come direttore del prestigioso Marina di Porto Cervo, Sardegna (SS) e poi del marina in Località Laghi di Sibari (CS) sotto l'ammiraglio Celli.

Molto tardivamente è arrivato anche il matrimonio però senza figli, perché così voleva il destino e poi il ritorno a Lucca, mia città natale, dove tutt'ora vivo e dove forse ho trovata una dimensione ormai quasi del tutto dimenticata, quella dello spirito!

Al mio attivo ho tre manuali di navigazione editi dalla Sipiel di Milano (oggi Feltrinelli) e due manoscritto uno la Frequenza di Dio che prediligo e l'altro, "Antartide" più autobiografico che romanzo che tuttavia esprime bene il coraggio e la forza di volontà che occorrono per superare le prove marittime, e che prove!”

Cordialmente, Capt. Franco Masini.


Ultima modifica di Monia Di Biagio il Gio Ago 23, 2007 1:35 pm, modificato 3 volte in totale
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MessaggioInviato: Gio Dic 14, 2006 2:30 pm    Oggetto:  Il Diario di Franco (franco123)
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Autore: Franco Masini - Inviato: 01 Mar 2006 09:07 pm - Oggetto: ricordi d'infanzia.

"Che faranno in cucina i miei cari?", fu il pimo dei pensieri che rammento, poi più nulla. Ero un bambino allora e doprmivo nella soffitta della villa Boccella in quel di san Giusto di Brancoli, Vinchiana, Lucca, dove, durante la guerra eravamo sfollati. Nella mia testolina fantasiosa, avevo catalogato tutta una serie di rumori che definivo confortanti e senza dei quali non mi sarei mai addormentato. Sebbene attutiti dalla distanza, nel dormiveglia, mi saziavo dell'ascolto dei quei rumori lontani. Rumori noti, sani e suadenti che ancora oggi, volendo, si sentono echeggiare sotto le volte di quella villa che fu la nostra dimora ancora per moltissimo tempo, anche dopo che la guerra era finita. Uno dei rumori che mi piaceva di più, era l'acciottolio delle stoviglie passate e ripassate nell'acqua di governo. Sempre collegato alla cucina, c'era il rumore dei piatti e delle pentole che venivano riposte nella credenza, la voce lontana e attutita di mamma e dell'Angelina, la nostra padrona di casa, che parlavano fra loro.

Attendevo con ansia che quei suoni, mi conciliassero il sonno e altri ancora che conoscendoli bene, alleviavano le mie paure infantili: il chioccolare della fontana, il frinire di un grillo, l'abbaiare di un cane lontano e su per la strada sassosa, i passi lenti e pesanti di gente che tornava dal lavoro. Gente che conoscevo e perciò non mi faceva paura.

L'alba invece, che mi risvegliava con la sua pallida luce filtrante dalle finestrelle polverose, mi trovava già desto e intento ad ascoltare altri suoni, più allegri, noti anch'essi e che mi salutavano festosi incitansomi ad alzarmi: il suono lontano e argentino delle campane, il chiocciare delle galline e il pio, pio dell'Angelina che le chiama a raccolta per dar loro il becchime...

Franco Masini.

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MessaggioInviato: Gio Ago 23, 2007 1:43 pm    Oggetto:  
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27 Feb 2006 09:38 pm

smile 20 Grazie infinite Franco,
per queste tue pagine di Diario, inviatemi per essere pubblicate qui su Scritturalia!

Spero così, dopo averti letto, come sinora è successo solo in privato, ma non per un pubblico più vasto di lettori quale quello di Scritturalia: che un vero e proprio "lupo di mare" come te e non solo letteralmente, ma "in carne ed ossa" ce ne racconti molti altri! Tipo la storia del sommergibile o quella del faro.....Grazie per ora.

I 5 capitoli del tuo Viaggio in Antartide sono pubblicati su "Reportage di Viaggio", li trovi qui:

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MessaggioInviato: Lun Ott 08, 2007 9:00 am    Oggetto:  diario. dove vanno a finire i miei diari?
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Monia, adorata, non riesco a ritrovare due scritti che posi nel "Diario" non molto tempo fa....ora ne inserisco un terzo ("da memorie di un marinaio") e poi vediamo dove va a finire....! Ciao Franco
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Nel disperato bisogno di espandere la sua poersonalità, Franco Masini scrive per condividere i suoi ricordi, i sogni, le speranze con altri che non siano solo banali ripetitori di luighi comuni....!
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MessaggioInviato: Lun Ott 15, 2007 4:37 pm    Oggetto:  da "memorie di un marinaio", di Franco Masini: I°
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FRANCO MASINI HA SCRITTO:

Citazione:
da "memorie di un marinaio", di Franco Masini: I° PARTE

Lucca, 27/Sett/2007

“ Sotto il tropico del cancro“
(da le….”Memorie di un marinaio….!”)

Di Franco MASINI

“……………. L’acqua le scivolava lungo i fianchi, soave come carezza di donna.

La spuma, sollevata dal movimento discreto della nave, scintillava come teca di un venditore di brillanti !

“E’ il Mar Rosso”, mormorai mentre affacciato dal capo di banda osservavo attentissimo il fenomeno.

Sprazzi di luce rossa, bianca, verde, brillavano come astri di un universo misterioso.

Il resto era tenebra e nero abisso.

Rimasi a lungo a guardare quell’insolito fenomeno (per me era la prima volta), fino a che, avvertito il fresco della sera, pensai di ritirarmi in cabina.

La cabina, che condividevo col cuoco, era larga, spaziosa, ma piena di….stracci umidi e bisunti e mal rispondeva alla romantica idea che si può essere fatta qualcuno non al corrente della realtà delle cose, circa le comodità dell’alloggio su di una nave vecchia e malandata come questa!
Non solo, ma data la mia giovane età (avevo venti anni), mi toccava salire sul ripiano superiore del letto a castello e vi posso assicurare che farlo al buio, senza l’aiuto della scaletta e col timore di mettere un piede in faccia al mio… coinquilino, era un incubo!

Così, in modo il più possibile discreto, badando bene a dove posavo i piedi, riuscii finalmente a buttarmi in cuccetta e a…. tentar di dormire.
Il ronfare ritmico che proveniva dalla sala macchine (macchina a vapore a triplice espansione), che facilitava il sonno, si fondeva col ronfare dell’inquilino sottostante, generando una cacofonica indescrivibile!”
Per rispetto ed anche per gentilezza, una volta resomi conto che il cuoco stava dormendo e non volendolo assolutamente disturbare, me ne stetti il più possibile immobile e silenzioso, in attesa dell’arrivo di…. un sonno liberatore.

Quella finalmente trascorsa, era stata una difficile giornata, sia per me che, credo, anche per lui!

Per quanto riguarda me e la mia attuale posizione di giovanotto in seconda o Pennese (ma anche allievo - ufficiale RT), ero “invitato” a pulire il ponte dagli escrementi di cammello; governare (ossia dar da mangiare e bere) ai poveri torelli che avevamo imbarcato a Mogadiscio (destinati ai macelli di Porto Said!), grattare o meglio “picchettare” la ruggine, che incrostava un po’ tutta la nave, infine risistemare gli arnesi e i vasi di pittura adoperati durante il giorno e poi …. andare finalmente a…mangiare e a letto!

“Ma chi me lo ha fatto fare…!”, dicevo spesso a me stesso, ma la risposta, sia pur vaga, mi poteva venire solo da me tesso e da quello spiritaccio di avventura che possiedo.

La storia della ruggine però ve la voglio proprio raccontare (perché rappresenta la tipica mentalità di bordo!): quella ruggine, che incrostava la maggior parte della nave, andava periodicamente battuta (con la picchetta), grattata (col raschietto), infine pitturata col minio e poi con un colore nerastro, tipo catrame, per quanto concerne la murata, bianco per le strutture.

Nonostante che tutte queste cure (nemmeno si trattasse di una bella donna!), iniziate assai prima della mia presenza e che si protraevano ormai da anni, le donassero una parvenza di ”nuovo” e di pulito, secondo me (idea peraltro molto personale e che non potevo certo esplicitare) era tutta fatica sprecata.

Sprecata perché sebbene la nostra nave fosse Americana, era una “Liberty”, ossia una di quelle navi costruite durante la guerra, in tutta fretta, usando materiali scadenti, tanto che si arrugginiva così in fretta che, pur trattandola in modo direi quasi “maniacale”, dopo pochissimo tempo si doveva ricominciare tutto da capo.

Le mie incombenze, però, non terminavano col lavoro del Pennese (categoria con la quale ero stato iscritto a Ruolo e che giustificava, diciamo così, le spese di “panatica” (vitto), ma era mio dovere espletare anche il servizio di Allievo (per il quale peraltro ero imbarcato!) che consisteva nel salire nella stazione RT (radio telegrafica) dove il Titolare (certo Sig. Fedele) si piccava di impartirmi la lezione.

Rammento il tepore e quell’odore caratteristico di materiale elettrico che incombeva in quell’ambiente riscaldato, dove mi rinchiudevo dalle 18 alle 20, dopo aver lavorato a contatto con gli elementi scatenati della Natura!

Il sottofondo discreto e pigolante dei dialoghi in alfabeto Morse, che le navi si scambiavano fra loro e che a quel tempo, a mala pena, riuscivo a decifrare, era ipnotizzante.

Mentre cadevo e per il sonno e la stanchezza, il maestro cercava di risvegliare un barlume di interesse nei riguardi dei bollettini meteo, gli avvisi ai naviganti, le liste di traffico e l’ascolto sulla “500” KHz (frequenza di soccorso per le navi in telegrafia).

Tutto inutile, perché mentre parlava io già mi ero assopito!
Per fortuna che eravamo così lontani dalla madre patria da non poter nemmeno lontanamente pensare ad una fuga… a casa, ma la tentazione era veramente forte!

Ma intanto, mi trovavo proprio nella deprecabile situazione di chi sperimenta sulla propria pelle quale sia la differenza fra “teoria e realtà”!
Ma c’era il mare a lenire il mio rimpianto e poi la piacevole sensazione di stare vivendo un’avventura che, assieme al viaggio in Africa, le cose nuove e belle da vedere e raccontare, mi sembrava di partecipare a un sogno!

Il viaggio per me, ebbe inizio a Genova dove la nave giunse in un mattino fumoso e grigio di Ottobre e dalla quale ebbe inizio una di quelle che posso impunemente definire grandi avventure!

Partita da Trieste e toccata Genova, quella vecchia nave del Lloyd Triestino, oltre ad imbarcare me e qualcun altro, iniziò a caricare, da prima, in stiva, merce alla rinfusa (cappelli di paglia, auto e poi cartoni di “Martini”, scarpe, etc.), ma poi anche treni su binario (saldato sul ponte di coperta) e carri armati di recente costruzione.

E quando fu ben bene caricata, ripartimmo per Napoli dove si consumò l’ultimissima occasione per vivere una “franchigia” a terra perché lasciato l’ultimo porto Italiano, iniziò ad allontanarsi piano, piano (faceva si e no 10 nodi, circa 18 km/ora!), scendendo giù, giù lungo lo Stivale, poi, passato lo Stretto di Messina (rammento che a quel tempo, lo Stretto, era ancora attraversato dai cavi dell’alta tensione), s allargò in mare aperto verso Sud Est, in direzione del mitico … Egitto (Porto Said).

Questo è quanto venivo via, via a sapere perché, dato il mio umile stato di servizio, a nessuno veniva in mente di venirmelo direttamente a dire!
Mi accorsi presto, però, che anche se queste erano le intenzioni del Comandante, siccome, come si sa, “al mare né alle donne si comanda”, come recita un vecchio detto marinaro, una volta calata la sera e giunti in prossimità della penisola Salentina (Santa Maria di Leuca), si scatenò un furioso fortunale.

Fummo improvvisamente investiti da un vento di Scirocco a forza 9-10 (da 40 a 55 nodi), quindi proprio di prua e con un mare a 7-8 (altezza delle onde da 7-9 metri) che ci faceva paurosamente rallentare.
Ricordo che rimasi assai sorpreso nell’osservare che il faro di Santa Maria Di Leuca, visibile dall’oblò di sinistra della saletta da pranzo, invece di scorrere normalmente verso poppa , lo si vedeva arretrare dalla …parte opposta, ossia verso prua!

Il che significava una sola cosa …. stavamo letteralmente andando indietro!

Ma questo è niente, perchè di lì a poco entrò trafelato un marinaio che con gli occhi sbarrati e la bava in bocca, gridava “vanno a pu….ne tutte cose…!” .

Che cosa era successo? Era successo che un carrello da miniera del peso di circa….20 tonnellate, caricato inspiegabilmente per “traverso nave” , dal rollio esagerato della nave, aveva spezzato le rizze (ritenute di acciaio che lo trattenevano sul binario predisposto) e per fortuna che c’erano due camion che avevano fatto da… “cuscino”, perché invece di sfondare la murata e finire in mare (buttando la nave a fondo!), li aveva accartocciati e distrutti.

“Tutti i marinai in stiva”, arrivò l’ordine perentorio del Primo Ufficiale e del Nostromo, che col fischietto radunava l’equipaggio per un “sicurezza nave”(situazione durante la quale tutti…debbono partecipare alla salvezza della nave) tranne me perché i più anziani mi dissero “vai via, vatti a nascondere nel bagno, non ci venire dabbasso se non vuoi morire!” ed io, sebbene a malincuore (perchè ero curioso di vedere tutto), me ne rimasi in saletta ad aspettare.

Finita la buriana e ripresa la navigazione, finalmente ci presentammo dinanzi all’imboccatura del Canale (di Suez), a Porto Said, per prendere il Pilota e assieme a lui, gli ormeggiatori Egizi.
Alcuni però, sicuramente abusivi, appena saliti a bordo, aprirono una sorta di mercatino dove vendevano di tutto: dal cammeo del Faraone alle foto, cosa che mi faceva tanto ridere, di “Madama scandalosa…!”.

….Segue!

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MessaggioInviato: Lun Ott 15, 2007 4:41 pm    Oggetto:  da "memorie di un marinaio", di Franco Masini: II°
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FRANCO MASINI SCRIVE:

Citazione:
da "memorie di un marinaio", di Franco Masini: II° PARTE“

Sotto il tropico del cancro”

Da…:”memorie di un marinaio”

Seconda parte

“…….finalmente venne impartito l’ordine di partire, di accodarsi cioè al convoglio che stufo di attendere, cominciava già a muoversi.
Iniziando dalla prima nave, che chissà quant’è che aspettava e che era così lontana dalla nostra postazione da non potersi nemmeno vedere, anche noi finalmente ci muovemmo, da prima lentamente, poi in modo sempre più veloce fino a che raggiungemmo la velocità del convoglio, che era di 5 nodi (circa 8 km/ora).

Ho detto che ci muovemmo, ma non fu una cosa facile tanto che a bordo, ci fu anche un certo qual trambusto.

Imbarcato assieme a noi (come da regolamento del canale) , c’era anche il Pilota (a quel tempo già di nazionalità Egiziana mentre prima era inglese o francese), ergo il comandante De Majersbach (il nostro comandante), da quell’austro ungarico che era (e come lo chiamavamo), famoso per avere “la puzza sotto il naso” , non solo dovette accettare la presenza sul ponte di un “muso nero”, ma dovette anche starsene buono, in secondo piano, lui, che gli competeva stare nei primissimi posti, mentre invece ora si doveva accontentarsi di “ammirare” le spalle anche un po’ rotondette dell’intruso.

Fremeva il comandante e lo si vedeva bene da come muoveva le mani dietro la schiena, con le quali cercava di influenzare il timoniere dandogli ordini opposti a quelli impartiti dal Pilota.

- Tutta a dritta - ordinava perentorio quello, mentre il comandante, ruotando dietro la schiena un dito in senso antiorario, suggeriva: “tutto a sinistra”. Fino a che il povero timoniere, imbarazzato, si voltò verso di noi e in silenzio, con gli occhi imploranti nei quali si leggeva un bel punto interrogativo, tentò di dire, ma fu subito zittito, - che debbo fare? –

Ma questo è niente perché intanto che si navigava a quella lentissima andatura, ecco arrivare i famosi Laghi Amari (il famoso "mare di canne", di biblica memoria!), quindi la prima sosta.

E qui apparvero subito le carenze dell’organizzazione degli addetti al Canale (dopo che era stato nazionalizzato da Nasser nel 1956).

Il fatto è che, in ottemperanza a quanto prescritto dal regolamento, a bordo, assieme a dei fari per il lavoro notturno, erano state approntate delle gruette che dovevano consentire la discesa a terra degli ormeggiatori, ma questi non le volevano usare preferendo le barche e non è tutto perché il loro modo di comunicare, sicuramente incomprensibile per noi, sembrava lo fosse anche fra loro! Insomma, tutto contribuiva a far si che la marcia del convoglio fosse lenta e se ci mettiamo la sosta tra Al Kantara e Ismailia (laghi Amari), per consentire il transito al convoglio in risalita verso il Mediterraneo, le lungaggini per il cambio dei vari Piloti e del personale locale, ecco spiegato il motivo per cui i tempi di transito aumentarono, raggiungendo, invece delle 18 previste, le 24 ore!

Ma tutto questo lo dico giusto per puntualizzare una situazione che per me andava …benissimo!
Infatti, cosa c’è di meglio per un sottoposto vedere andare male le cose ai suoi superiori?

E poi come si fa a non rimanere affascinati alla vista delle dune del deserto che, separate di netto dallo scavo del Canale, si perdevano in lontananza, a vista d’occhio? E....venne la sera e con essa il tramonto che, vi assicuro, da quella posizione era semplicemente spettacolare!
Nessuna nube a turbare quella luce rosastra, proveniente dall’Occaso.
Il deserto, tale e quale come il mare, si colorava anchesso di rosa e poi di rosso, ma poi venne un vento gelido che mi fece rabbrividire -
“E’ il freddo del deserto”, mormorai convinto di avere fatto una scoperta importante!

Ci fermammo (la notte non si poteva transitare) e rimasi affacciato al capo di banda ad osservare la manovra di attracco, con la discesa degli ormeggiatori sulle loro imbarcazioni, il loro trasbordo a terra, il calar delle cime e infine l’ormeggio della nave.

“Tutto questo andirivieni senza il mio concorso”, pensai, “che pacchia” e me ne andai in mensa a mangiare.

Rammento il Nostromo, perfetta faccia da pirata saraceno, che provocava il capo ormeggiatori egizio facendogli delle “pernacchie”.
Per loro, per i musulmani, la pernacchia è vietata dal Corano.

Così Lui si divertiva a scandalizzarlo, facendogliene una via l’altra, mentre noi si rideva a crepapelle! Che ricordi, che imprese!
La mattina dopo, di buon ora (le levatacce sono sempre state il mio cruccio), riprendemmo lentamente a navigare fino a che alcune ore più tardi eravamo di nuovo fermi a Suez.

Era il capolinea del Canale di Suez (Suez Canal!) e presto ci saremmo lanciati…(a 10 nodi!) nell’impresa per me assolutamente nuova e affascinante di.... navigare il mar Rosso.

...segue....

Franco Masini

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MessaggioInviato: Lun Ott 15, 2007 4:46 pm    Oggetto:  da "memorie di un marinaio" - parte terza...
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FRANCO MASINI SCRIVE:

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Memorie di un marinaio - di franco Masini - Parte 3°.

1959-60, seguito del…”viaggio più lungo della mia vita (8 mesi, Ge - Cape Town e ritorno)”

“….e così arrivammo a Djibouti, che a quel tempo faceva parte della Somalia francese, dove il destino voleva che vivessi una delle più belle avventure della mia vita.

Un po’ come tutte le cose, sia quelle belle che quelle brutte (con la differenza che quelle belle si ricordano più volentieri!), a Djibouti ebbi occasione di vivere due storie veramente singolari.

La prima, tanto per procedere con un certo ordine, indispensabile per non far confusione, concerne il fatto che, finalmente, ebbi modo di consumare la mia prima franchigia (uscita dalla nave).

Dall’inizio di questo lunghissimo viaggio (che durò ben 8 mesi!), infatti, era la prima volta che scendevo a terra e a venti anni…si sa, la voglia di vivere è tanta!

Il motivo? Semplice! Perché fino ad ora, non avevamo ancora fatto un vero e proprio scalo, per intenderci, come quando si entra in un porto di mare, con annessa città o paese dove potere andare a divertirsi, ma ci eravamo soltanto fermati ai bordi del Canale, oppure, ma per brevissimo tempo, a Porto Said e a Suez.

Così, dopo essermi lavato e pettinato con cura, scelto l‘abbigliamento migliore (pantaloni militari con camicia auto stirante) e non prima di aver cenato (quindi a pancia piena!) e di essermi lustrato ben bene le scarpe, mi presentai al barcarizzo per avvisare che “scendevo a terra” (cosa che normalmente nessuno chiede mai e che mi guadagnò un punto di merito).
Non ero solo, naturalmente, perché assieme a me scendevano tutti coloro che ero riuscito a convincere, naturalmente i più giovani che, come me, si consideravano ancora …. “viventi” e non …. “morti”, come gli altri, coloro cioè, e sulle navi sono tanti, che un po’ per non spendere, un po’ per pigrizia mentale, non sciendono mai a terra!

Assieme a me, dunque, c'era la “creme” di bordo; costituita da una buona mandata di giovani ufficiali e da qualche comune che, credo, avesse i nostri stessi diritti!

Gente che amava vivere e che, tutto sommato, sono certo ne avrà conservato un discreto ricordo.

A quel tempo, avevo giusto ventitre anni e così pure, credo, i miei compagni (dei quali non rammento né il nome né la fisionomia ma sono sicurissimo che c’erano!), nonostante l’età (23 anni!), eravamo diciamolo pure, un po’ esuberanti, insofferenti della disciplina di bordo e a ragione, perché rispetto a quella di oggi, a chiamare vita la nostra, è puro eufemismo!

Ma veniamo al fatto!

Disceso baldanzosamente lo “scalandrone d’imbarco” (scala reale), chiamammo telefonicamente un taxi al quale, secondo un ben collaudato sistema, chiedemmo di trasportarci al “Dancing” più vicino (che poi era l’unico della città!).
Era già buio quando facemmo il nostrioprimo timido ingresso…. in un luogo incantato!

Il dancing, sul tipo “giardino d’estate”, illuminato a giorno da luci multicolori, era letteralmente sommerso di fiori.

Le aiole (naturalmente!), ma anche le panchine del parco, tutt’attorno alla vasca con lo zampillo, su festoni e graticci di legno, montati appositamente per l’occasione e infine sui tavolini dei commensali. Al centro, dove c’era la pedana, ovvero la pista da ballo, rigorosamente rotonda, risplendeva e per eleganza e per musicalità, l’orchestra, i cui musicanti, giacca bianca e cravatta, suonavano ritmi sincopati.

Bella gente, sorseggiando complicatissimi long-drink, delicatamente trattenuti in una mano con un salatino o sigaretta nell’altra, sedeva attorno ai tavolini, intenta a piacevoli conversari che vertevano...sul più e sul meno (per lo più in francese), senza soverchio impegno!

Elegantemente vestiti di bianco, ma tutti apparentemente accomunati dalla stessa espressione di felicità stampata sul viso, mi contagiarono quel tanto che basta per fare fiorire uno spontaneo sorriso sulla mia bocca. Sfavillio di luci, fantasia di colori, belle donne con toilette da capogiro e poi un turbinio di camerieri in giacca bianca e cravatta, intenti a portare vassoi dai quali ossequiosamente porgevano drink….e piattini colmi di appetitosissimi snacks!

Che bello! Che gioia per la vista ed il cuore!
D’incanto, la triste immagine della mia nave, nera, fetida, sporca e piena di ruggine, che dovevo per forza occupare, scomparve dalla mia mente, (ma credo anche da quella dei miei compagni).

“Altro che alloggiare in una fetida cabina col cuoco! Brav’uomo, per carità (al mattino mi faceva trovare persino un dolcetto !) ma sempre cuoco é!" Poi l’equipaggio, in gran parte composto da “puzzoni”, ossia da ufficiali d’alto rango, sul tipo… Austro-Ungarico, dall’altra da povera gente, la bassa forza, vilipesa e metaforicamente, bastonata!

Ah, quelle luci sfavillanti che ancora risplendono nella mia mente e poi la musica (musica sincopata, come esigevano gli anni 60 !) che quando la risento, sia pure a distanza di tempo, mi fa ancora sognare! E poi le donne e che donne! Ma chi le ha più riviste donne così? Scuotendomi da quel torpore contemplativo, mi feci coraggio ed alzatomi mi diressi diritto come un fuso …verso uno dei tavoli.

L’intenzione, che mi si leggeva chiaramente in faccia, era naturalmente quella di ballare (a quel tempo eravamo tutti molto timidi), ma forse l’espressione decisa che rivestivo intimidì i presenti che rimasero muti ad ascoltare.

Ascoltare? Ma che cosa dovevano ascoltare se non parlavo la lingua e non conoscevo nessuno che mi potesse aiutare?
Balbettando frasi sconnesse, tentai di aprire un dialogo, di fare il disinvolto, ma il risultato fu disastroso e molto imbarazzante, tipico di un giovane impacciato.

Forse fu proprio questo a salvarmi, ossia la mia giovinezza o la mia sfrontatezza, magari in parti uguali, tant’è che, sebbene parlassi in modo inintelligibile e per di più in un francese talmente orrendo che solo al sentirlo uno avrebbe dovuto scappare (figuriamoci poi dei veri signori!), ottenni il miracolo che, invece di ritornare con la coda fra le gambe al mio tavolo, mi ritrovai sulla pista a….. ballare!

Così, per aver avuto l’ardire di chiedere il ballo a una bellissima signora che, guarda che sfacciato, sedeva al tavolo, presumo, con il marito, fui premiato e la signora, dopo aver dato uno sguardo implorante al maritino, acconsentì e insieme corremmo verso la pista.

Dico corremmo perché era evidente che anche lei, forse annoiata, voleva divertirsi o quantomeno capire come si potesse avere una così madornale faccia tosta!

Non vi dico la scena! Io che ballavo come un cane, ma stringevo forte, lei che si divincolava, rossa in viso, cercando di darsi un contegno; i compagni che mi guardavano, impressionati da cotanto successo.

Mi sembrava di avere gli occhi di tutta la gente addosso mentre, serio e compassato, ballavo alla meno peggio un languido fox-trot, ma intanto cominciavo a inebriarmi.

Il suo sensuale profumo, il contatto con quella pelle calda ed ambrata e poi la visione di quel viso vagamente orientale, i capelli corti e leggermente ricci, l’abito lungo di seta, a fiori,…non capivo più nulla e ballavo, ballavo, senza rendermi conto nemmeno dove fossi e che eravamo....rimasti soli!

Non rammento nemmeno come andò a finire! So solo che, a un certo punto devo averle detto qualche cosa di….. invitante, perché lei, divincolandosi, volle andar via!

Non ricordandomi nulla, deduco che, resomi conto della figuraccia che stavo facendo (solo sull apista da ballo!) o forse no, credo di essere ritornato, sudato e stanco, ma felicemente appagato, dai miei amici…con la faccia di chi è convinto di dover meritare un giusto premio!
I quali, forse invidiosi di non aver potuto o voluto fare altrettanto, furono critici nei miei riguardi, ma io, ancora tutto inebriato dall’esito dell’avventura e sicuro com’ero di poterla rivedere, feci spallucce.
Fu così che mi alzai, deciso a provocare un secondo approccio, che però questa volta andò a “buca”, perché qualcuno, forse preoccupato dei miei successi, pensò bene di riportarsela a casa, la mia “dea”, che forse, chissà, avrebbe voluto continuare!

Da allora, mi è rimasto un sapore di amaro in bocca e la domanda su chi potesse essere quella bellezza coloniale: francese? Belga o araba naturalizzata? Non lo saprò mai, ma nemmeno lei, purtroppo, perché dopo quella sera non la rividi più e come appresi poi col tempo, questo era solo l’inizio della lunga serie di amare constatazioni di una vita che al marinaio… non è concessa……

Franco Masini
Lucca,06/1072007


...Segue...

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MessaggioInviato: Lun Ott 15, 2007 4:54 pm    Oggetto:  Da, “Memorie di un marinaio”, parte 4a.
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FRANCO MASINI SCRIVE:

Citazione:
Da, “Memorie di un marinaio”, parte 4a.

“Il viaggio più lungo..” di Franco Masini.

“…ripensandoci, comincio a credere che a quel tempo, nella situazione in cui mi trovavo, ossia lontano dalla famiglia, dagli amici, dai possibili incontri con l’altro sesso e dinanzi alla prospettiva di dover affrontare un viaggio così lungo (ben 8 mesi!), durante il quale ben poche occasioni sarebbero state così piacevoli da raccontare, qualche cosa che riguardava la sfera del mio carattere doveva per forza cambiare.

“O adeguarsi o morire!”, si dice ed è vero, infatti, inducendo delle impercettibili metamorfosi, quel viaggio, che sfido chiunque, anche al giorno d’oggi, a ripetere, mi lasciò esausto e frastornato (al mio ritorno, non sapevo più affrontare un discorso in italiano!), trasformandomi, da quel calmo, ottimista, pacioccone che ero, nello …spericolato che…. divenni (aggressività poi mitigata e dal contatto umano e civile con la gente e dall’età perché ricordando che se “incendiari si nasce, poi, crescendo si diventa … “pompieri!”).

Sentite cosa combinai durante quel soggiorno a Djibouti (e meno male che ci siamo stati poco che altrimenti chissà cos’altro avrei fatto!).

Probabilmente invischiato in qualche discussione (o letteralmente impazzito!), spacconata o altro, aderii alla scommessa, non rammento con chi ne esattamente come, di buttarmi nelle acque fetide del porto, di notte per difendere la…. reputazione!

(Per chi non lo sapesse, Djibouti gode della non proprio esaltante fama di essere il paradiso dei pescicani e la sfida verteva proprio su questo tema, ossia provare a se stessi e agli altri, di avere il coraggio di constatarne di persona, la presenza!).

Più pazzesco e idiota di così si muore, ma, ricordando che sbaglia chi pretende di giudicare il passato col senno del presente, non c’è consentito immaginare cosa potesse frullare nella testa di due giovanotti dell’età di 20 anni ,“ jeunesse excuse”.

Per quanto poi riguarda me, c’è un altro fattore, che ha avuto il suo peso nella vicenda, il mio babbo!

Il mio povero babbo, che Dio l’abbia in pace, cresciuto in un clima diciamo….. da primi novecento (era del 1905), però spinto all’eccesso da una famiglia, la sua, di intellettuali, pretendeva di applicarlo anche a me!

Mi incitava a reagire con “coraggio” alle prepotenze dei compagni di scuola (se ti ribelli, ti pago!”, convinto, diceva) e per far questo ricorreva ad ogni mezzo: mi suggeriva letture avventurose, resoconti di viaggi, narrazione di atti eroici avvenuti durante le guerre “d’indipendenza”, nella prima e seconda guerra mondiale e nella resistenza.

“Cuore”, era sempre al primo posto sul mio comodino e così pure Salgari e Wamba, per non parlare di Stevenson, con “L’isola del tesoro”; “Ivanhoe” di Walter Scott, mentre per mio conto, ma in seguito, mi appassionai alla puntuale descrizione delle manovre sulle grandi navi a vela del passato, come descritte in maniera veramente realistica in “Captain Hornblower” di C.S.Forester, che forse ha pesato e non poco nella mia decisione di entrare in Marina!

Così, invece di indirizzarmi verso il liceo, come normalmente sarebbe stato il mio destino,mi inserii all’Istituto Nautico, dove mi preparai per una bella carriera di….. “capitano di mare!”

Povero babbo! In realtà, la vita gli aveva riservato bel poche soddisfazioni (da una brillante carriera diplomatica, per motivi contingenti, alla banca, che detestava!) e da quel romantico che era, s’illudeva che tramite me, avrebbe potuto rivivere le avventure da lui stesso sognate, in poche parole io ricoprivo il ruolo non indifferente di….. sostituto!

S’illudeva, dico, ma nemmeno poi tanto,in quanto romantico un po’ lo sono sempre stato e in mare è indubbio che ci sono andato!

Ecco spiegato il motivo per cui, in una calda sera tropicale, dopo aver cenato (così da rischiare anche una congestione), ci recammo, il mio compare ed io, alla banchina vecchia del porto di Djibouti, con la semi-seria intenzione di….. buttarci nell’acqua, alla ricerca di…pescicani!

Non appena intuito quello che intendevamo fare, la gente che gironzolava nei paraggi, accorse curiosa, formando un bel capannello.

Somali, Eritrei ed altre etnie, tutti “frequentatori” del bar del porto (luogo assai malfamato), attratti dalla novità (due pazzi, per di più bianchi, che si vogliono buttare a mare!) volevano vedere!

Sotto gli occhi della gente, noi due, incuranti di essere rimasti in …”mutande” (nessuno di noi due aveva il costume da bagno), ci spogliavamo, divertendoci con una improvvisata pantomima.

Tutto questo, mentre gli Indù (il gruppo più numeroso) ed i locali, con lunghi e incomprensibili discorsi, cercavano di comunicarci la loro preoccupazione

Per noi, che intimamente eravamo increduli circa la reale presenza dei pescicani (che altrimenti non ci saremmo buttati), era una gioco e uno spettacolo al quale volevamo contribuire!

Con la gente che cercava di dissuaderci in tutte le maniere, noi, duri, a fare la conta per vedere a chi dovesse toccare (a tuffarsi!).

Toccò a me e mi buttai, o meglio mi lasciai scivolare giù per il lungo pendio, fino a che non mi ritrovai col sedere…. nell’acqua!

Non appena sentii i piedi affondare nel fango, mi girai per cercare di avvisare l’amico; avrei voluto fermarlo, fargli presente la novità della situazione, ma non potetti fare nulla, perché ormai era bello e lanciato.

Mi guardai attorno: l’acqua, nella quale mi trovavo immerso fino alla vita, era nera, limacciosa e sebbene non fosse fredda, un brivido mi corse giù per la schiena!

Istintivamente, mi guardai attorno.
Sapevo che la presenza di un eventuale pescecane, sarebbe stata rivelata dalla luminosità dell’acqua, ricchissima d Plancton.

Quel Plancton, dal quale prende nome il Mar Rosso, oltre ad essere luminescente e quindi rivelatore della presenza di qualsiasi cosa che si muove, era anche cibo per una miriade di pesci affamati che vivono appunto di questa risorsa.

“Ma”, pensai…”e se stesse fermo?”.
L’agghiacciante verità, scaturita da questa nuova intuizione, mi lasciò di stucco, terrorizzato, ma il problema non era solo questo bensì un altro e di non minore importanza, quello cioè di sapere cosa avremmo fatto una volta avvistato il pescecane.

Fu allora che avvertii un movimento, un fruscio sospetto e gridando al mio amico, “il mostro, il mostro!” , cominciai ad arrampicarmi su per la banchina.

“Macché!” l’inclinazione era tale e le pietre del muraglione così scivolose che la risalita (anche l’altro nel frattempo si era precipitato verso la salvezza!) fu un disastro!

Salivamo per qualche metro e poi scivolavamo giù di nuovo, pattinando sulle parti basse della nostra povera schiena e sulle…..mutande!

Mentre vivevo questa drammatica pantomima, che faceva poco ridere, tranne gli arabi e gli indiani, che protesi dal bordo della banchina, gridavano frasi incomprensibili.

Incomprensibili non per noi che, nemmeno fossimo stati illuminati dalla “Pentecoste”, intendevamo benissimo:

“Siete in pericolo”, dicevano, “e vorremmo aiutarvi, ma non possiamo!”.
Non so come facemmo né grazie a quale miracolo riuscimmo finalmente a raggiungere la cima, dove esausti ci buttammo per terra.

Finalmente al sicuro sul solido suolo, attendemmo che la gente entusiasta finisse di batter le mani poi, dopo gli applausi, rivestiti di tutto punto, fummo condotti, tra spintoni e risa, al bar del porto, dove tutto finì in una grande bevuta.

Che dire di questo episodio? Come già premesso penso che a quell’età si debba per forza essere un po’ pazzi che altrimenti la gioventù che ci sta a fare?

La conferma della veridicità circa la massiccia presenza di pescicani nelle acque del porto, la ebbi indirettamente in un secondo tempo, quando ne avvistai uno, veramente grosso, beatamente sdraiato in acqua, sotto bordo alla nave, a pancia all’aria, intento a godersi…. La fresca ombra della murata. (anche i pesci, nelle ore pomeridiane, cercano l’ombra!).

Solo che ero io a stare in pensiero perché mi trovavo in una ben triste posizione: quella cioè di uno che sta seduto fuori bordo sul “banzigo” (passerella mobile), sospeso ad una altezza di 15 metri!

Ma l’idea di andare a pitturare una lancia di salvataggio in una simile posizione, non era mia, ma naturalmente del Terzo Ufficiale che, guarda caso, nutriva verso di me, ricambiato, una viva avversione….ma questa però è un’altra storia!

Unica consolazione, mentre pitturavo, era quella, di tanto in tanto, di guardare in basso per vedere cosa stesse facendo l’amico pescecane, ma lo vedevo sempre là, nel medesimo posto, in paziente attesa che ….cadessi in mare!

Franco Masini
Lucca, 08/10/007


....segue....

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